SALUTE. I ricercatori dell’Università di Birmingham hanno dimostrato che i composti chimici sott’accusa possono superare l’epidermide e fluire nel sangue
Il manifesto, M. Ravarino
I ricercatori dell’Università di Birmingham hanno analizzato 17 diversi tipi di Pfas (sostanze poli e perfluoroalchiliche) e hanno dimostrato, per la prima volta, che questi composti possono superare la barriera della pelle e, così, fluire nel sangue. Finora l’epidermide non era mai stata considerata tra le vie d’accesso dei Pfas nell’organismo, si pensava che le uniche fossero quella aerea, l’inalazione di aria inquinata, e quella digerente, ad esempio il consumo di acqua contaminata.
IL LAVORO PUBBLICATO SULLA RIVISTA scientifica Environment International segna una svolta sui forever chemicals: «La capacità di queste sostanze chimiche di essere assorbite attraverso la pelle – sostiene Oddný Ragnarsdóttir, autrice principale dello studio – era stata precedentemente scartata perché le molecole sono ionizzate. Si pensava che la carica elettrica, che conferisce loro la capacità di respingere l’acqua (la proprietà idrorepellente, ndr) e le macchie, le rendesse incapaci di attraversare la membrana cutanea. La nostra ricerca dimostra che questa teoria non è sempre valida e che, di fatto, l’assorbimento attraverso la pelle potrebbe essere una fonte significativa di esposizione a queste sostanze chimiche nocive».
I PFAS SONO AMPIAMENTE UTILIZZATI nelle industrie e nei prodotti di consumo, dalle uniformi scolastiche ai cosmetici fino ai prodotti per l’igiene personale. Per esaminarli, il team inglese ha utilizzato modelli equivalenti di pelle umana in 3d, evitando il ricorso a animali. I composti selezionati sono tra quelli più studiati per i loro effetti tossici sulla salute umana (soprattutto come interferenti endocrini): 15 delle 17 sostanze sono riuscite a penetrare la pelle, anche con una rilevante percentuale di assorbimento, almeno il 5% della dose di esposizione. Tra queste pure il Pfoa, bandito in Ue e considerato cancerogeno.
LA RICERCA SCIENTIFICA CONTINUA ad andare a caccia dei tasselli di un puzzle complicatissimo. Una nuova inchiesta di Greenpeace Italia, basata su dati Ispra raccolti tra il 2019 e il 2022, ha rivelato che la contaminazione da Pfas è presente in tutte le regioni italiane in cui sono state effettuate le indagini nei corpi idrici: fiumi, laghi e acque sotterranee. Queste sostanze sono state rinvenute in quasi 18 mila campioni, pari al 17% delle analisi effettuate dagli enti preposti. Il quadro d’insieme è, però, incompleto. Malgrado l’ampia diffusione dell’inquinamento, i controlli sono stati frammentari o addirittura assenti, in particolare in alcune aree del sud. In Puglia, Sardegna, Molise e Calabria non risulta alcun controllo sulla presenza di Pfas nei corpi idrici. «I dati relativi alla presenza di Pfas in Italia confermano un’emergenza nazionale diffusa e fuori controllo, che interessa non solo le aree già note per questa contaminazione, ovvero alcune province del Veneto e la zona dell’alessandrino in Piemonte, ma anche numerose altre aree del Paese», precisa Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia. La percentuale di valori positivi ai Pfas varia da regione a regione, anche a seconda dell’accuratezza delle misurazioni effettuate. Basilicata (31%), Veneto (30%) e Liguria (30%) sono le regioni con la più alta percentuale di analisi positive rispetto ai controlli. Altre sei Regioni (Lombardia, Toscana, Lazio, Umbria, Abruzzo, Campania) presentano un tasso di positività superiore al 10%. La disomogeneità nei controlli è sconcertante: quasi il 70% delle analisi nazionali è stato eseguito in sole quattro regioni del nord Italia (Veneto e Piemonte, interessate da casi storici e ben documentati, a cui si aggiungono Lombardia e Friuli-Venezia Giulia), mentre il restante 30% è distribuito nelle altre 12 Regioni interessate dalle verifiche. Oltre ai casi storici di Miteni e Solvay, i dati raccolti evidenziano criticità nel novarese, in Lombardia (province di Como, Lecco, Pavia e Monza Brianza), Lazio (Roma, zona Ponte Galeria e viterbese), Emilia Romagna e Abruzzo. «Cosa aspetta – sollecita Ungherese – il governo Meloni a promuovere un provvedimento che limiti, a livello nazionale, l’uso e la produzione di queste pericolose sostanze, a tutela dell’ambiente e della salute di tutte e tutti noi?»
AD ALESSANDRIA, INTANTO, il comitato Stop Solvay, l’associazione Ánemos e Greenpeace hanno presentato i risultati i risultati del biomonitoraggio indipendente, che ha coinvolto abitanti dei sobborghi di Cascinagrossa, Castelceriolo, Litta Parodi, Lobbi, Mandrogne, San Giuliano Vecchio e Spinetta Marengo, dove insiste il polo chimico Solvay (ora Syensqo) e dove tuttora si produce il contestato C6O4. Le analisi sono state realizzate dal’Università tedesca di Aquisgrana: «I dati del nostro biomonitoraggio – spiega Viola Cereda del Comitato Stop Solvay – confermano quello che già provavano i risultati delle analisi effettuate con l’Università di Liegi. Tutte le 36 persone coinvolte, cittadini che hanno autofinanziato le proprie analisi, hanno nel proprio sangue concentrazioni superiori ai 2 nanogrammi per millilitro di Pfas, ovvero il limite individuato dalla National Academies of Sciences (Nas) e adottato anche dal protocollo della Regione Piemonte come valore di riferimento. Oltre questa soglia, si possono verificare effetti negativi sulla salute umana. I dati dicono, inoltre, che il problema non è confinato a Spinetta ma riguarda l’intero territorio. La Regione Piemonte deve impegnarsi a realizzare un biomonitoraggio esteso, gratuito e accessibile a tutti. Chiediamo al nuovo assessore regionale alla Sanità risposte chiare. Non è una questione rimandabile, ne va del diritto alla salute. Al contempo, si deve fermare l’inquinamento in atto che finché Solvay produrrà Pfas non terminerà. Per noi la chiusura e la bonifica sono le uniche soluzioni, se queste non lo sono per la Regione qual è la via che vuole intraprendere?».
LA PROVINCIA DI ALESSANDRIA, a seguito di controlli ambientali effettuati da Arpa Piemonte che aveva certificato il mancato rispetto delle emissioni di Pfas nell’ambiente, lo scorso 7 giugno ha imposto un fermo di 30 giorni allo stabilimento di Spinetta inoltrando due diffide affinché vengano rispettati i livelli di emissioni consentiti. Nei prossimi giorni, però, la produzione riprenderà.