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Javier Milei, il ‘Trump dell’America Latina’ vince le presidenziali, rabbia e voglia di cambiare hanno vinto sulla paura per un salto nel buio.

L’Argentina ha scelto senza tentennamenti: sarà Javier Milei, candidato dell’ultradestra e anti-establishment, il nuovo presidente della Repubblica. Lo confermano i risultati del ballottaggio svoltosi ieri nel paese, che hanno consegnato a Milei la vittoria con oltre il 55% delle preferenze, contro il 44% raccolto dallo sfidante Sergio Massa, attuale ministro dell’Economia, il cui movimento peronista ha governato l’Argentina per 16 degli ultimi 20 anni. Uno scarto di 11 punti e una vittoria netta dunque per Milei, che confermano la voglia di cambiamento nel paese, in cui due persone su cinque vivono sotto la soglia di povertà e alle prese con una crisi economica profonda, tra il debito pubblico fuori controllo e l’inflazione al 143%.

“Oggi inizia la ricostruzione dell’Argentina”, ha detto Milei nel primo discorso pubblico dopo la pubblicazione dei risultati. “Ho contattato Javier Milei per congratularmi – aveva ammesso poco prima Massa – Da domani la responsabilità di dare certezze e risposte al paese spetta a lui”. La notizia, diffusasi nella tarda notte argentina, è stata accolta da caroselli e feste di piazza in un paese che, all’indomani della consultazione, si scopre più diviso e polarizzato che mai: “Questo voto puzza di disperazione”, osserva Benjamin Gedan, politologo del Centro Wilson, intervistato dal Guardian secondo cui “molti argentini hanno votato consapevolmente contro i propri interessi economici perché riconoscono che lo status quo è catastrofico. E non c’era motivo di credere che l’attuale ministro delle Finanze potesse essere la risposta”.

In un paese carico di rabbia per la drammatica situazione economica, in cui lo slogan più diffuso alle manifestazioni è “Que se vajan todos”, il fatto di essere un outsider ha giocato a favore di Milei. Approdato alla scena politica direttamente dagli studi televisivi appena due anni fa, quando da popolare showman è diventato deputato, Milei ha costruito l’immagine della sua campagna elettorale impugnando una motosega per “tagliare i privilegi della casta” che accusa della ciclica crisi economica che devasta l’Argentina. Fondamentale per la sua vittoria però è stata l’apertura di credito concessagli dalla destra moderata e, in particolare, il sostegno manifestatogli da Patricia Bullrich, candidata di PRO, il partito fondato dall’ex presidente liberale Mauricio Macri, esclusa dalla corsa dopo essere arrivata terza nella prima tornata elettorale del 22 ottobre.

Bullrich ha impiegato meno di 24 ore per sostenere apertamente il candidato di estrema destra concedendogli – a detta di diversi osservatori – una patina democratica che alla fine è bastata a convincere gli indecisi. Milei ha vinto in 21 delle 24 provincie del paese e in quella strategica di Buenos Aires, la più popolosa del paese, ha perso di pochissimo: appena un punto e mezzo percentuale a favore di Massa. Un crollo verticale per il candidato peronista, che al primo turno aveva vinto in 13 province contro le 10 espugnate da Milei.

Reazioni dal mondo?

Non è un caso se tra i primi a congratularsi per la sua vittoria siano stati l’ex presidente americano Donald Trump e il brasiliano Jair Bolsonaro, a cui Milei è stato spesso paragonato. “Tutto il mondo stava guardando! Sono molto fiero di te. Trasformerai il tuo paese e davvero renderai di nuovo grande l’Argentina” ha scritto Trump sul social Truth, mentre dalla Casa Bianca fanno sapere che gli Stati Uniti “non vedono l’ora di costruire le nostre forti relazioni bilaterali basate sul nostro impegno condiviso per i diritti umani, i valori democratici e la trasparenza”.

Anche i leader sudamericani hanno commentato la vittoria di Milei, con il presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva che ha scritto su X: “Auguro buona fortuna e successo al nuovo governo. L’Argentina è un grande paese e merita tutto il nostro rispetto”. Durante la campagna elettorale, Milei aveva criticato pubblicamente la politica di Lula, definendolo un “comunista arrabbiato”. Il colombiano Gustavo Petro, al contrario, ha detto che questo è stato “un giorno triste per l’America Latina” aggiungendo che “il neoliberalismo non ha più una proposta per la società, non può rispondere ai problemi attuali dell’umanità”. Complimenti sono arrivati anche da Cina e Russia, nonostante gli annuncia fatti da Milei che, in caso di vittoria, aveva promesso di ritirare la candidatura ai BRICS e ribadito il sostegno agli Stati Uniti e all’Ucraina. Infine, tra i sostenitori di Milei non poteva mancare Elon Musk che in un post su X afferma: “L’Argentina ha la prosperità davanti a sé”. 

Milei assumerà l’incarico il 10 dicembre, giorno in cui scade il mandato dell’attuale presidente, il peronista Alberto Fernández. Quel giorno comunicherà i nomi della sua squadra di governo, il più atteso tra i quali è certamente quello del ministro dell’Economia. In campagna elettorale infatti Milei, che si autodefinisce anarco-capitalista, si è impegnato a tagliare la spesa pubblica del 15%, ad abolire la banca centrale argentina, ad abbandonare il peso e a rendere il dollaro americano la valuta legale dell’Argentina. Propositi che difficilmente riuscirà a mantenere, considerato che il suo partito controlla solo un quarto dei seggi in ciascuna camera, il che lo costringerà a stringere alleanze per mandare avanti l’agenda legislativa. Inoltre, avvertono gli economisti, la dollarizzazione di un’economia così grande e segnalata con così tanto anticipo potrebbe far salire l’inflazione. Buenos Aires è già in crisi di riserve di valuta estera perché il peso è fortemente indebolito, e si preannuncia una nuova svalutazione prima che Milei entri in carica. In una situazione simile, il neopresidente “avrà bisogno di stampare ancora più pesos per iniziare il processo di dollarizzazione, col rischio scatenando un altro ciclo di iperinflazione, erodendo rapidamente la sua popolarità politica”, osserva Ian Bremmer secondo cui, con la vittoria di Milei, numerose incognite si affacciano sul nuovo governo e sul paese. Ma la scossa che il leader de La Libertad avanza aveva promesso di dare al sistema politico argentino è già in atto. È cominciata domenica con il tramonto del kirchnerismo, la corrente del peronismo che domina la politica argentina dal 2003. Da domani si apre un nuovo capitolo.

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