ANNA LUANA TALLARITA

Criminologia gli scritti

Tendenze manipolativo compulsive

di Al.Tallarita

Il soggetto manipolativo narcisistico, è molto più presente nella nostra società, di quanto non si pensi. Un soggetto, che tende a controllare le relazioni, senza reciprocità. Con rapporti a senso unico. Si tratta di rapporti lavorativi, personali, familiari, di coppia; manipolano, il soggetto che hanno accanto, uomo donna che sia, per ricevere. Molto spesso, si nascondono delle personalità, che hanno subito; che sono fragili e che cercano di nascondere, grazie a queste maschere, delle tragedie, delle criticità comportamentali e caratteriali. O addirittura dei traumi, subiti nell’infanzia. Si tratta di una tendenza a senso unico. Il disturbo narcisistico, vi sono degli studi che lo riconducono, ad una disfunzione del cervello; una sorta di deficit neurologico. Che priva della capacità empatica, di cui ogni individuo è dotato. E che pertanto, causa l’impossibilità di immedesimarsi negli altri,  in quello che provano.

Quello che si cela, è il bisogno di non restare da soli. Il bisogno di utilizzare gli altri, per i propri scopi, perché possano essergli utili, a colmare quei bisogni, quei vuoti interiori, che sentono. Uno dei maggiori teorici, di questo disturbo comportamentale, Otto Kernberg, psichiatra e psicoanalista austriaco, statunitense, che li definisce, come assorti in se stessi. Con un adattamento sociale, solo in apparenza efficiente, ma che presentano gravi distorsioni nelle relazioni interiori con gli altri. Molto ambiziosi, con fantasie di grandezza, mescolati a sentimenti di inferiorità. Dipendenza dagli altri, per l’elargizione di ammirazione, approvazione. Alternano sentimenti di noia, di vuoto, al contro tentativo, di soddisfare le ambizioni interiori. La volontà di emergere, non mostrando però empatia, nel grado di amare, o interessarsi davvero dell’altro. Si veda a proposito il suo libro “Sindromi marginali e narcisismo patologico” Bollati Boringhieri, Torino 1978 .

La questione complessa, è che tali personalità, tendono a riuscire a sfuggire, ad una valutazione psicologica chiara. Pur trattandosi, di un disturbo grave. Specialmente, per il grado di disagio, che riescono a creare negli altri.

Ma va sottolineato, il gravissimo danno di sofferenza psicologica, che creano alle persone, che inconsciamente si avvicinano a loro. E che ne diventano prede. Cos’è un manipolatore? La psicologia lo definisce come un soggetto, che può compiere degli atti, con lo scopo di manipolare un’altra persona, inducendolo, nei bisogni, desideri, comportamenti e utilizzando per fare questo, sentimenti come il senso di colpa o il desiderio di approvazione e riconoscimento. Christopher Bollas li definisce ‘normoidi’ senz’anima. Che indossano una maschera, addirittura anche di sensibilità, atta solo  raggirare le proprie vittime. Giocando alla perfezione, davanti agli altri, vivendo tra normalità, sul filo della patologia.

I profili si ripetono, molto spesso chi cade vittima di un narcisista, cela una forma di dipendenza affettiva. Magari periodica, o cronica, magari presente in una fase difficile, che si sta attraversando. Questi si rendono così, propensi ad essere manipolati, da questi soggetti, che usano la menzogna compulsiva. Questo perché i segni di fragilità psicologica, evidenti nel modo di porsi, nel tono della voce, nella postura, sono molto palesi a questi soggetti manipolatori.

Caratteristiche primarie delle personalità narcisistico manipolatorie

Al. Tallarita

L’individuo che non possiede capacità straordinarie cerca di scaldarsi alla luce riflessa dei suoi idoli (Lasch C.)

Riassumere in 4 parole chiave l’atteggiamento manipolatorio del predatore emotivo si può fare:

-Primo, manipolazione della vittima 

-Secondo, seduzione 

-Terzo, aggressione dell’autostima 

-Quarto, condizionamento

Lo scrive Roberta Bruzzone, psicologa forense e criminologa, nel suo testo “Io non ci sto più” de Agostini 2018, Milano.

I narcisisti passivo-aggressivi sono degli attori, molto spesso si fingono vittima, trasformano chiunque, attraverso la loro manipolazione, a essere loro alleati. Molto spesso, in questa figura abbiamo dei genitori, che arrivano addirittura, a falsificare anche i documenti, poi presentati in tribunale. In caso di separazione per l’affidamento dei figli. Gli stalker più pericolosi, rientrano in questa figurazione. 

È il fine, a cambiare la strategia di manipolazione. E anche a fornirne un aspetto patologico.

Per riconoscere un narcisista maligno, è necessario analizzare, i suoi comportamenti.

Attraverso una metodologia di ‘criminal profiling’ ponendo attenzione su questi e valutando, le possibili mosse future.

Alcuni comportamenti da analizzare, sono l’egocentrismo, che porta l’adulto ad essere spesso, in una fase prettamente infantile. Questo tipo di atteggiamento, favorisce la concentrazione su se stessi. Essere sempre in ritardo, è una loro caratteristica, fare aspettare gli altri, in segno di importanza per loro stess. Essere spesso notati, nel modo di fare, entrando negli ambienti, facendo delle battute nelle conversazioni, millantare titoli e competenze, vantando conoscenze, con personalità influenti. Stanno molto attenti al loro look, si promuovono come leader, nel loro campo di lavoro. 

A volte però, la personalità, si propone come più dimessa, quasi insicura e pertanto, con caratteristiche più difficili da percepire. Che palesano timidezza, insicurezza, nelle occasioni pubbliche. Ci sono anche narcisisti che sono dei falliti e che danno agli altri, la responsabilità di questo fallimento, perché non apprezzati, non capiti o per mille altre scuse. 

Assumono su se stessi delle qualità di superiorità, rispetto agli altri, unendo tecniche di svalutazione nei confronti dei sopravvenuti le partner o delle loro prede. 

E allora, si considerano speciali, al di sopra delle regole. A volte sono dei bulli, alcuni studi parlano del legame, fra l’incremento del cyberbullismo, e bullismo, collegato a questo tipo di narcisismo.

Una caratteristica interessante, è riuscire a svalutare l’altro, attraverso l’identificazione delle fragilità e delle insicurezze di chi hanno di fronte, utilizzando l’umiliazione, come arma contro di loro.

E utilizzano questo atteggiamento, anche dei sottoposti, facendo cura, di essere sentiti dagli altri mentre utilizzano per esempio frasi scurrili o mentre rimproverano o urlano, al fine di alimentare la propria autostima, sminuendo il ruolo dell’altro.

E pur fingendosi sensibili delle fragilità altrui, dei dolori o della malattia, in verità sono incapaci di provare empatia, per gli altri esseri umani.

I sentimenti altrui, non devono interferire con la ricerca continua di attenzioni, che i narcisisti compiono.

Altra caratteristica, è negare l’evidenza, non ammettere mai la responsabilità, per qualsiasi tipo di azione commessa, nel presente o nel passato. E qualsiasi sia la conseguenza, perché sentono il diritto di poter compiere qualsiasi azione, trovando qualsiasi tipo di giustificazione.

Ma non è un’arma di difesa, neanche riuscire a smascherarli pubblicamente. 

Perché loro useranno la menzogna, per distruggere chi si è reso patibile di questa onta, nei loro confronti. E cercheranno di screditare, chi ha cercato di far vedere la verità, su questi bugiardi compulsivi.

Sono falsi, molto tendenti alla tragedia. 

Alla recitazione, della parte della persona vicina. Molto distanti dal concetto di amicizia, frequentano le persone, solo per il soddisfacimento dei propri bisogni e desideri.

La valutazione degli altri, per loro è imprescindibile. Questo perché hanno necessità di conferme costanti e assumono degli atteggiamenti quasi inquisitori. 

Per poter avere tutte le informazioni possibili, su chi hanno davanti, al fine di poterlo manipolare, nel miglior modo possibile. 

Spesso si fingono ipersensibili, tendono a parlare molto di malattie molto gravi, disabilità, incidenti. Ma dietro questa finta sensibilità si nasconde una personalità manipolatoria.

Si tratta comunque di personalità molto rigide. Ossessive, il cui bisogno di controllo è fondamentale. Vi sono delle professioni, che permettono l’esecuzione costante del potere, come nelle forze di polizia, l’ambito giudiziario, politico e mediatico.

In cui è molto facile incontrare questo tipo di personalità.

È un tipo di atteggiamento patologico, che taglia verticalmente la società, in quanto può essere presente a qualsiasi livello sociale e culturale. Nonostante le false apparenze, dietro le loro maschere, si celano personalità di predatori crudeli, impazienti e ossessivi.

CRIMINAL PROFILING

Il profilo psicologico dell’autore di reato

Il Criminal Profiling

Sono numerose le definizioni che finora sono state date da diversi studiosi ed esperti al concetto di criminal profiling. Nei testi americani i termini più ricorrenti, tutti con lo stesso significato, sono di “psychological profiling, offender profiling, criminal personality profiling”.

Per gli autori che hanno per primi studiato il profilo psicologico del criminale, l’analisi del profilo consiste nell’identificazione delle principali caratteristiche di comportamento e personalità. Queste caratteristiche sono estrapolate sulla base dell’analisi delle peculiarità del crimine commesso, in quanto le particolarità comportamentale sono importanti indizi sulla personalità.

Negli ultimi anni l’attività di profiling è stata definita come un approccio della polizia investigativa tendente a fornire la descrizione di un autore di reato sconosciuto, basandosi sulla valutazione dei più piccoli dettagli della scena del crimine, della vittima e di ogni altra utile informazione sulle circostanze e sui luoghi del crimine. Gli esperti dell’FBI considerano attualmente il criminal profiling come una sorta di sottocategoria dell’analisi investigativa criminale, destinato a determinare:

– le condizioni psicologiche dell’autore al momento del crimine

– l’analisi delle cause della morte della vittima

– le strategie investigative.

Il principale obbiettivo del criminal profiling è comunque quello di fornire agli investigatori specifiche informazioni su un sospetto sconosciuto che possano risultare di utilità nella identificazione e nella cattura del soggetto. Il profiling pertanto, nella propria intrinseca caratteristica di processo dinamico, consente di ridurre gradualmente il numero dei sospetti da “praticamente chiunque” ad un ristretto numero di individui connotati da particolari caratteri e comportamenti.

L’attività di profiling non riveste la medesima importanza ed utilità in tutti i reati e nemmeno in tutti i casi di violenza sessuale ed omicidio. Più violento, gratuito, aberrante e sessualmente connotato appare il delitto, più utile può rivelarsi l’elaborazione di un profilo psicologico dell’autore. Tuttavia il campo di applicazione elettiva dell’attività di profiling rimane il delitto sessuale violento e con caratteristiche di serialità.

Il perché di questa elettività è presto detto: con il ripetersi di violente aggressioni da parte di un sospetto sconosciuto aumentano gli indizi lasciati sulla scena del crimine e sulla vittima per cui ad ogni nuovo episodio il bagaglio di informazioni è sicuramente più ricco. Una delle definizioni più efficaci degli operatori della Behavioral Science Unit della FBI è: “ogni scena del crimine è un’aula di scuola dove il sospetto sconosciuto insegna agli investigatori qualcosa di sé”.

L’evoluzione storica del profiling

Nel corso di questo ultimo secolo il criminal profiling ha preso origine dalle ricerche sul comportamento criminale, dagli studi sulle malattie mentali e dagli esami ed evidenze forensi della scena del crimine. Da sempre lo studio del profilo psicologico del criminale è associato alle conoscenze e alla professione dello psichiatra ed è per questo che in alcune condizioni di difficoltà investigativa l’FBI ha fatto sempre ricorso alla collaborazione degli psichiatri, i quali hanno applicato generalmente le loro conoscenze di psicodinamica e di psicopatologia.

Tuttavia solo recentemente gli studi dell’FBI sono stati dotati di una base statistica in quanto tutti i casi di omicidio a sfondo sessuale di cui si conosca l’autore sono stati inseriti in una ricerca che prevede anche l’intervista in carcere dell’omicida. Secondo gli investigatori dell’FBI il miglior esperto di questi crimini è colui che li ha commessi e quindi è necessario intervistarlo. Dall’insieme di queste interviste si possono estrapolare significativi dati statistici su cui effettuare deduzioni proiettive di confronto con il caso in quel momento da risolvere. Prima di queste interviste e del data base in cui sono state raccolte le informazioni ricavate, le evidenze dei vari profili erano dovute esclusivamente alle intuizioni degli estensori del profiling e alla loro personale esperienza clinica e criminologica. Molto prima degli investigatori americani ci fu uno psichiatra italiano che si preoccupò di intervistare i criminali in carcere per effettuare delle deduzioni predittive: Cesare Lombroso.

Gli studi di Cesare Lombroso

Il primo esempio di studio del criminale e di tentativo di classificazione del comportamento e della psicologia del criminale è stato effettuato dal medico e criminologo italiano Cesare Lombroso (1835-1909). Nel 1876 Lombroso pubblicò il libro “L’uomo criminale” in cui fornì comparazione di varie informazioni su aggressori autori di medesimi atti criminali, confrontando razza, età, sesso, caratteristiche fisiche, educazione, provincia di residenza. In base questi studi Lombroso teorizzò che il comportamento criminale poteva essere compreso, dedotto e predetto. Lombroso studiò 383 carcerati italiani e alla fine li classificò come:

– “criminale nato” – aggressori di bassa evoluzione fisica e sociale evidenziabili sulla base delle caratteristiche fisiche;

– “malato criminale” – aggressori affetti da disturbi fisici e mentali;

– “criminaloide” – aggressori senza specifiche caratteristiche fisiche e mentali che delinquevano perché spinti dalle circostanze ambientali o per effetto di situazioni particolari; oggi verrebbero inquadrati nei disturbi di personalità.

Secondo gli studi di Lombroso esistevano 18 caratteristiche fisiche indicative del “nato criminale”: sarebbe stato sufficiente riscontrarne almeno 5 per effettuare la diagnosi. Fra queste caratteristiche fisiche ricordiamo: deviazioni di forma e di misura del cranio rispetto alle caratteristiche della razza di appartenenza, asimmetria del volto, eccessive dimensioni della mandibola e degli zigomi, orecchie troppo grandi o piccole ed eccessivamente in fuori, labbra grosse, carnose ed in fuori, abnorme dentizione, presenza di rughe precoci ed abbondanti, ecc. Insomma tutte caratteristiche fisiche tipiche delle condizioni primordiali della razza umana.

Quanto più l’uomo fisicamente si discostava dalle caratteristiche “scimmiesche” tanto più era considerabile non-criminale. Le caratteristiche fisiche lombrosiane sono state definite dagli studiosi della materia criminale come il “marchio di Caino”.

Sulla scia dello studioso italiano altri psichiatri europei hanno classificato i criminali ed i potenziali criminali sulla base dell’intelligenza, della razza, dell’ereditarietà, del ceto sociale e di altre caratteristiche biologiche ed ambientali. Studi che hanno incluso anche le classificazioni sul tipo di corporatura (il biotipo). Fra questi ricordiamo gli studi dello psichiatra tedesco Ernst Kretschmer.

Gli studi di Ernst Kretschmer

Il criminologo tedesco Ernst Kretschmer, ad esempio, riscontrò un alto tasso di significatività nel rapporto tra biotipo, personalità e potenziale criminale.

Sulla scorta di uno studio effettuato su 4.414 casi propose, nel 1955, una classificazione basata su quattro biotipi:

– “leptosomico o astenico” – persone alte e magre, associabili ai crimini del furto e della frode;

– “atletico” – persone con ottimo sviluppo muscolare, associabili ai crimini di violenza;

– “picnico” – persone basse e grasse, associabili ai crimini di violenza e al furto;

– “displasico o misto” – persone dall’aspetto fisico misto associabili ai crimini contro l’etica e la morale, nonché ai crimini violenti.

La classificazione di Kretschmer era tuttavia troppo vaga ed imprecisa per essere di qualche aiuto all’investigazione criminale. Questa non specificità ne ha contribuito ad un progressivo abbandono in quanto troppo facilmente applicabile anche alla popolazione non criminale.

Gli studi e le classificazioni successive si sono orientate sulle combinazioni di aspetti biologici e di aspetti educativi ed ambientali. Tuttavia allo stato attuale nessuna delle teorie proposte ha superato la prova della dimostrazione scientifica di quanto sostiene.

Ulteriori aiuti agli studi sul criminal profiling sono giunti dai patologi forensi, attraverso l’analisi e lo studio delle cause e delle modalità della morte della vittima.

Il patologo forense ha aperto la strada allo studio della vittimologia e notevole è stato il contributo dell’analisi delle ferite sul corpo della vittima per descrivere il suo possibile autore.

Questo contributo può essere fatto risalire agli studi effettuati a Londra, nel 1888, sulle vittime di “Jack the Ripper” da parte del dr. George Phillips, chirurgo della polizia di Londra. Egli, studiando il comportamento dell’aggressore sul corpo della vittima, deducibile dalle ferite evidenziate, propose una ipotesi di lettura sulla personalità del suo autore, le sue condizioni sociali, la scolarità ed il possibile tipo di lavoro svolto. Questi omicidi sono stati quindi il primo caso in cui sia stata effettuata l’analisi del tipo delle ferite con lo scopo di dedurre la personalità del suo autore.

Le basi psicologiche di questi studi erano poggiate sulla correlazione tra tipo di ferita, comportamento del criminale e tipo di personalità.

Negli Stati Uniti un esempio di queste correlazioni è riscontrabile nel caso di George Metesky. Intorno agli anni ’50 a New York operava un terrorista definito dagli investigatori “mad bomber” per aver causato 37 esplosioni in diversi punti della città. Gli investigatori interessarono del caso il Dr. James Brussel, psichiatra, il quale dopo aver valutato le risultanze di varie scene del crimine e gli scritti che venivano inviati alla polizia, descrisse “mad bomber” come un paranoico che odiava il padre, ossessionato dall’amore per la madre, di mezza età, straniero, cattolico romano, single, che viveva con la madre e la sorella e che avrebbe indossato un gessato, doppio petto, abbottonato. Quando gli investigatori arrivarono a George Metesky, nel 1957, si accorsero che indossava un gessato doppio petto, che lo stava abbottonando e che tutte le caratteristiche che aveva individuato il Dr. Brussel erano giuste. Tranne per il fatto che viveva con una zia e la sorella e non con la madre e la sorella.

Il metodo del Dr. Brussel era basato sulla deduzione del disturbo psichiatrico che era evidenziabile dal comportamento sulla scena del crimine e dalle motivazioni del gesto criminale. Dalla diagnosi psichiatrica egli derivava età, stile relazionale e di vita, aspetto fisico, in una sintesi originale che condensava conoscenze di psicopatologia, di psicoanalisi al lavoro, citato, di Kretschmer.

Il Dr. Brussel fu coinvolto anche nel caso dello “strangolatore di Boston”. Dal 1962 al 1964 a Boston furono registrati 13 casi di omicidio per strangolamento, a sfondo sessuale. Il Dr. Brussel avanzò l’ipotesi che gli autori fossero due, di cui uno omosessuale, in quanto erano due le tipologie di vittime interessate.

In questo caso non ebbe successo perché gli autori, o l’autore, non fu mai arrestato. Nel 1973, poco prima di morire in carcere, Albert De Salvo, confessò di essere lui lo strangolatore di Boston, ma questa autoaccusa non fu mai provata.

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