di D. Scalea
Il testo che segue è tratto dall’intervento al dibattito “Two elections, one crisis. The Topic of Migration in the US and European Elections“, co-organizzato dal Mathias Corvinus Collegium e dal Centro Studi Machiavelli a Budapest, il 9 maggio 2024.
daniele scalea al mathias corvinus collegium, 9 maggio 2024
Daniele Scalea, presidente del Centro Studi Machiavelli, parla al MCC di Budapest (9 maggio 2024)
L’Italia da terra d’emigrazione a Paese d’immigrazione
La storia dell’immigrazione in Italia è più recente che nella maggior parte dei Paesi europeo-occidentali. Fino all’inizio degli anni ’70, infatti, l’Italia era un Paese d’emigrazione, sia intra-europea sia extra-continentale. Si stima che ad avere origini almeno parzialmente italiane siano il 5% degli abitanti attuali degli Stati Uniti, l’8% della Francia, il 15% del Brasile e addirittura il 70% dell’Argentina.
A partire dagli anni ’70 l’Italia è divenuta Paese d’immigrazione, ma per diverso tempo con numeri relativamente modesti. I primi afflussi massicci d’immigrati giunsero negli anni ’90, dall’Europa Orientale e soprattutto dall’Albania, per il collasso socio-economico che quest’ultima conobbe in quel decennio. È importante notare che, durante tale fase, tanto i governi di destra quanto quelli di sinistra tentarono di contrastare l’immigrazione clandestina. Infatti, all’inizio del nostro secolo, solo l’1-2% della popolazione dell’Italia era straniera di nascita.
Negli anni seguenti proseguirono gli sbarchi illegali, in misure comprese tra 10.000 e 25.000 all’anno. Quando nel 2008 si registrò un picco di 35.000 (livello che sarebbe oggi considerato molto basso), ciò fu percepito con allarme dall’opinione pubblica. Il governo allora in carica, con a capo Silvio Berlusconi, intervenne stringendo accordi con la Libia e attuando respingimenti navali – una strategia analoga a quella che governi di sinistra avevano messo in pratica negli anni ’90 contro i flussi di albanesi.
2011-12: il punto di svolta
Il punto di svolta venne nel 2011. Da un lato, Bulgaria e Romania si aggregarono all’area Schengen, portando a un significativo afflusso soprattutto di rumeni in Italia: oggi i rumeni costituiscono la più numerosa componente straniera nella penisola. Mentre i rumeni si sono generalmente integrati con rapidità nella società italiana, v’era tra loro un numero significativo di zingari, che ancora oggi vive nei campi e si sostiene tramite accattonaggio o furti. Il loro impatto sociale è stato dunque molto sentito – e in negativo.
Nello stesso anno avvenivano le rivolte arabe e il collasso della Libia, causato dalla ribellione di islamisti e altri soggetti supportati da Paesi della NATO. A seguito di ciò, venne meno quel filtro che Gheddafi aveva garantito, sia direttamente sulla base di precisi accordi con l’Italia, sia indirettamente assorbendo un’ampia quota d’immigrati nel suo Paese, molto prospero per gli standard africani. La Libia è caduta nelle mani di milizie e criminali che organizzano e sfruttano le partenze clandestine verso l’Italia. Pochi mesi dopo, nel 2012, la Corte Europea dei Diritti Umani condannò i respingimenti navali dell’Italia, ritenendoli incompatibili col diritto dei clandestini di fare richiesta d’asilo.
L’Italia si trovò così improvvisamente privata dei due principali strumenti per difendere i confini. Nel frattempo, cadeva il Governo Berlusconi e, nel 2013, prendeva il suo posto uno di sinistra. Quest’ultimo dispiegava la Marina Militare, ma non per difendere i confini, bensì per raccogliere i migranti in mare e portarli in Italia. Quando terminò la missione navale, a raccoglierne il testimone ci sono state le ONG, che stazionano le loro navi al largo della costa libica. In questa fase, gli sbarchi illegali raggiunsero livelli di 150-180.000 all’anno, spingendo persino il governo di sinistra a intervenire, tramite un accordo con la guardia costiera libica.
La situazione attuale
Un’autentica svolta venne tuttavia solo dopo le elezioni del 2018. Sull’onda soprattutto del malcontento popolare per la crisi migratoria, si formò un nuovo governo con Matteo Salvini ministro degli Interni. Per mezzo di varie misure Salvini riuscì a fermare quasi completamente gli sbarchi. Salvini perse però il posto nel 2019 e, dopo una pausa dovuta alla Covid-19, gli sbarchi sono ripresi nel 2022, malgrado il governo di destra guidato da Giorgia Meloni. Nel 2022 ci sono stati 100.000 arrivi e nel 2023 addirittura 160.000, sebbene per ora, quest’anno, si stia registrando un decremento.
È importante notare come l’immigrazione in Italia sia ora principalmente extra-europea, proveniente in particolare da Paesi arabi, Africa e subcontinente indiano. Attualmente il 9% della popolazione in Italia è formata da stranieri. Tuttavia, bisogna considerare che l’Italia è tra le nazioni europee col più alto numero di naturalizzazioni. Sulla base di proiezioni migratorie e demografiche, dettagliate in un libro del 2019 (recentemente tradotto e pubblicato anche in Ungheria), ho stimato che per il 2065 oltre il 40% della popolazione dell’Italia sarà composta di stranieri o immigrati di seconda e terza generazione.
Le leggi
Proprio per la novità del fenomeno, l’immigrazione in Italia rimase quasi del tutto indisciplinata fino al 1990. La Legge 39/90, o “Legge Martelli”, introdusse la programmazione quantitativa dei flussi di immigrati, istituzionalizzando dunque il canale “legale” per trasferirsi in Italia. Nel contempo, fornì anche il mezzo tramite cui si sarebbero alimentati i flussi illegali, ossia l’abuso del diritto d’asilo. L’Italia aveva infatti aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951 con una “riserva geografica”, in virtù della quale si impegnava ad accogliere come rifugiati solo persone provenienti dal continente europeo. Il socialista Claudio Martelli cancellò questa riserva, aprendo le porte ai richiedenti asilo da tutto il mondo (attualmente, solo 1 richiedente su 10 risulta avere effettivamente diritto allo status di rifugiato).
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Nel 1998 fu varata la prima legge organica sull’immigrazione, la 40/1998 o “Legge Turco-Napolitano”: da un lato ampliava il flusso dei lavoratori extra-comunitari e garantiva loro un percorso per acquisire la cittadinanza, dall’altro istituiva i centri in cui trattenere e identificare i clandestini prima di espellerli. Nel 2002 la Legge 189/2002 o “Legge Bossi-Fini” applicò alcuni correttivi, accorciando i permessi di soggiorno e cercando di rendere più efficaci le politiche di espulsione. Nel 2008 il governo di centro-destra introdusse il reato (senza pene detentive) d’immigrazione clandestina e anche l’aggravante di clandestinità nei processi penali, ma quest’ultima misura fu cancellata dalla Corte Costituzionale.
Nell’ultimo quarto di secolo le politiche migratorie sono state plasmate più dalle direttive dell’Unione Europea che dalle leggi promulgate dal Parlamento. L’UE ha infatti varato una serie di direttive, tra 2005 e 2008, che hanno imposto standard minimi a favore dei richiedenti asilo, abolito il trattenimento dei richiedenti, sospeso le espulsioni in caso di ricorso contro il diniego di protezione, allargata la possibilità di ricongiungimento familiare ai non rifugiati.
Una situazione fuori controllo
Ormai l’immigrazione in Italia è fuori controllo. Non è una frase fatta, né un’osservazione empirica, bensì è una realtà desumibile dall’osservazione dei dati: gli ingressi illegali superano quelli legali.
Nel 2016 e 2017 i decreti flussi prevedevano, al netto delle conversioni di permessi di soggiorno a persone già sul territorio, l’ingresso legale 17-18.000 lavoratori extra-comunitari l’anno. Quegli anni, però, i clandestini sbarcati furono rispettivamente 180.000 e 120.000. Se nel 2018 e 2019 gli ingressi legalmente autorizzati (30mila) sopravanzarono le cifre di quelli illegali, oggi la situazione è tornata preoccupante. Ciò malgrado gli ultimi decreti flussi abbiano alzato enormemente la quota di lavoratori extra-europei da accogliere.
L’anno scorso, 2023, il decreto flussi ha stabilito di accogliere 136.000 lavoratori extra-comunitari, di cui 53mila non stagionali. Gli sbarchi, come già visto, hanno però portato sulle nostre coste quasi 160.000 clandestini. La crescita verticale nei decreti flussi, che prevede di giungere a quota 165.000 ingressi legali nel 2025, fatica comunque a tenere il passo con gli arrivi illegali.
Purtroppo, la nostra politica migratoria viene decisa in ampia misura da scafisti, ONG o altri attori ostili. Il resto lo fanno i ricongiungimenti familiari: a parte la parentesi Covid-19, il loro numero è costantemente sopra i 100mila l’anno.
Norme anacronistiche
La situazione non è solo figlia di precise scelte politiche (e ideologiche) a favore dell’immigrazione e del “multiculturalismo”. L’Italia sconta anche il fatto di stare applicando norme – quelle sul diritto d’asilo – formulate quasi un secolo fa, in un contesto completamente differente. All’epoca era inimmaginabile vedere milioni di africani o asiatici intraprendere viaggi inter-continentali per migrare in Europa. Quelle norme erano pensate per favorire l’accoglienza di pochi singoli dissidenti e perseguitati politici, o comunque di gruppi di persone che fuggivano dai regimi comunisti – persone europee, vicine alla nostra cultura e dunque facilmente integrabili.
Le norme a tutela dei rifugiati sono costantemente abusate da migranti “economici”, che le sfruttano per riuscire a trattenersi in Italia. Nel 2022 sono state presentate in Italia 85mila richieste d’asilo, nel 2023 135mila. Eppure, delle domande esaminate nel corso del 2023, meno di 5000 richiedenti sono stati riconosciuti come rifugiati (altri 16.000 circa hanno ricevuto la protezione sussidiaria o speciale, mentre più di 20mila hanno ricevuto un diniego).
Bisogna riconoscere il nuovo contesto – geopolitico e tecnologico – in cui viviamo e adattare le norme – nazionali, europee e internazionali – alla mutata realtà. Altrimenti, i governi europei, tra cui quello italiano, non riusciranno a governare il fenomeno ma saranno travolti dai flussi migratori illegali.