L’ex premier al Premio europeo Carlo V: “La Ue deve crescere più velocemente e meglio”. E avverte: “Non può essere passiva se altri ne minacciano la prosperità”
il Giornale
L’Unione europea deve crescere più velocemente e meglio se vuole fare fronte a tutti i cambiamenti: questo il monito forte e chiaro di Mario Draghi. Intervenuto alla cerimonia di premiazione del Premio europeo Carlo V che riceve dal re Felipe nel Monastero di San Jeronimo de Yuste in Estremadura, l’ex primo ministro italiano ha indicato la strada da percorrere al Vecchio Continente, sottolineando che il modo principale per ottenere una crescita più rapida è aumentare la produttività.
La crescita sta rallentando da tempo, la sottolineatura dell’ex presidente della Bce: “Dall’inizio degli anni 2000, il Pil pro capite aggiustato per i prezzi interni è stato inferiore di circa un terzo rispetto a quello degli Stati Uniti, e circa il 70% di questo divario è spiegato dalla minore produttività. La differenza di crescita della produttività tra le due economie è dovuta principalmente al settore tecnologico e alla digitalizzazione in generale. Se escludessimo il settore tecnologico, la crescita della produttività dell’Ue negli ultimi vent’anni sarebbe pari a quella degli Stati Uniti”. Ma non è tutto. Draghi ha evidenziato che il divario potrebbe aumentare ulteriormente con il rapido sviluppo e la diffusione dell’intelligenza artificiale. Il motivo è semplice: circa il 70 per cento dei modelli fondamentali di AI viene sviluppato negli States, dove solo tre aziende rappresentano il 65 per cento del mercato globale del cloud computing.
Uno dei passaggi più interessanti dell’intervento di Draghi riguarda il ricorso a tariffe e sussidi per rispondere al cambiamento delle regole del commercio. Il giudizio dell’ex premier è positivo, ma questo deve essere inserito in “un approccio generale pragmatico, cauto e coerente”. A suo avviso la prima risposta dell’Ue al cambiamento delle regole del commercio mondiale dovrebbe essere quella di cercare “di riparare il più possibile i danni all’ordine commerciale multilaterale”, spingendo i partner verso un commercio basato sulle regole. Poi, in secondo luogo, dovrebbe incoraggiare gli investimenti esteri diretti, così da mantenere in Europa i posti di lavoro nel settore manifatturiero. La terza risposta dovrebbe essere”l’utilizzo di sussidi e tariffe per compensare gli ingiusti vantaggi creati dalle politiche industriali e dalle svalutazioni dei tassi di cambio reali all’estero. Ma se intraprendiamo questa strada, deve essere nell’ambito di un approccio generale pragmatico, cauto e coerente”.
Fondamentale da questo punto di vista separare l’innovazione genuina e i miglioramenti della produttività all’estero dalla concorrenza sleale e dalla soppressione della domanda, evitando la creazione di incentivi perversi che rischiano di minare l’industria Ue: “Le tariffe devono quindi essere valutate in modo coerente in tutte le fasi della produzione ed essere compatibili con gli incentivi, soprattutto per non indurre la de-localizzazione delle nostre industrie”. E, ancora, le tariffe devono essere bilanciate dagli interessi dei consumatori: “Ci possono essere alcuni settori in cui i produttori nazionali sono già troppo indietro e quindi rendere le importazioni più costose imporrebbe solo costi morti all’economia”.
L’Ue non vuole diventare protezionista, ma secondo Draghi non è nemmeno possibile rimanere passivi se le azioni degli altri intaccano la prosperità. L’economista ha citato la decisione degli Usa di imporre tariffe alla Cina, scelta che ha delle implicazioni significative per l’economia europea attraverso il riorientamento delle esportazioni.
Per Draghi la sfida da affrontare è che, rispetto agli States, l’Europa è più vulnerabile “sia all’inazione sul commercio che alle ritorsioni: “Il settore manifatturiero europeo impiega un numero di persone due volte e mezzo superiore a quello degli Stati Uniti. Inoltre, più di un terzo del nostro PIL manifatturiero viene assorbito al di fuori dell’UE, rispetto a circa un quinto degli Stati Uniti”.