Le colonne sonore di Henry Mancini
Da quella della Pantera Rosa a “Moon River” fu uno dei compositori più prolifici e apprezzati di Hollywood, e nacque oggi un secolo fa
Ilpost
C’è di sicuro chi conosce la sua musica memorabile e non il suo nome, eppure Henry Mancini, nato cent’anni fa oggi, fu uno dei compositori più prolifici e apprezzati di Hollywood. Statunitense di origini italiane, compose tra le altre cose la colonna sonora del film La Pantera Rosa e la famosissima “Moon River” di Colazione da Tiffany, e fu un acclamato direttore d’orchestra. In oltre quarant’anni di carriera vinse quattro Oscar e venti Grammy, e scrisse anche le sigle di decine di film e serie tv, di quelle che chiunque avrà sentito almeno una volta e che nella cultura pop sono ancora popolarissime.
Enrico Nicola Mancini, in arte Henry, nacque il 16 aprile del 1924 poco fuori Cleveland, in Ohio, ed era figlio di Quintiliano Mancini e Anna Pece: lui originario di Scanno, in Abruzzo, e lei di Forlì del Sannio, in Molise. Crebbe ad Aliquippa, in Pennsylvania, dove il padre lavorava in un’acciaieria e nel tempo libero suonava il flauto e l’ottavino, un piccolo flauto traverso. Fu il padre a incoraggiarlo a suonare sempre il flauto: come ricorda Stacia Raymond nel libro Grace Notes, un romanzo basato sulla sua vita, la colonna sonora di I crociati (1935) scritta da Rudolph Kopp gli fece decidere di diventare un compositore anziché un insegnante, come avrebbe voluto inizialmente.
A dodici anni Mancini cominciò a studiare pianoforte e a scrivere musica sotto la guida di Max Adkins, che al tempo era direttore dell’orchestra dello Stanley Theater di Pittsburgh e nella sua autobiografia Mancini definì «la figura più influente della [sua] vita». Grazie ad Adkins si interessò al jazz e dopo il diploma si trasferì a New York per frequentare la prestigiosa scuola di arte, musica e spettacolo della Juilliard, a cui fu ammesso presentando una sonata di Beethoven e improvvisando “Night and Day” di Cole Porter. Mentre combatteva nella Seconda guerra mondiale conobbe il noto trombonista e compositore Glenn Miller e si unì all’orchestra che dirigeva. Nel 1947 sposò la cantante Ginny O’Connor e si trasferì in California.
All’inizio Mancini scriveva sigle per programmi radiofonici, ma nel 1952 fu assunto come compositore e arrangiatore agli Universal Studios di Los Angeles, dove cominciò a mostrare la sua curiosità e il suo genio creativo, coniugando la musica classica a elementi di swing e jazz per le colonne sonore dei film. In questo periodo scrisse la musica per alcune scene di Gli indiavolati, uno dei primi musical rock di Hollywood, musicato proprio da Kopp, e la colonna sonora di La storia di Glenn Miller, per cui nel 1954 ottenne la sua prima candidatura agli Oscar. I suoi principali successi risalgono ai due decenni successivi.
Dopo aver lasciato la Universal, Mancini scrisse la celebre canzone cantata da Audrey Hepburn nell’altrettanto celebre Colazione da Tiffany (1961) e poi ripresa da innumerevoli interpreti, tra cui Frank Sinatra, Louis Armstrong e Barbra Streisand. È invece dell’anno dopo “Days of Wine and Roses”, scritta per I giorni del vino e delle rose, con il testo di Johnny Mercer, autore anche di quello di “Moon River”. Nel 1963 invece compose la musica per La Pantera Rosa di Blake Edwards, quella con il riff di sassofono entrato nella storia e usata anche nella serie televisiva animata basata sullo stesso personaggio.
Come ricordò il New York Times, Mancini era apprezzato per il suo approccio musicale, che si discostava dalle sinfonie pompose prodotte da compositori come Max Steiner e Alfred Newman, e incorporava invece elementi di jazz, andature suadenti e cenni di musica leggera, suonati da orchestre con pochi elementi.
Fu candidato a ben 72 Grammy, i principali premi dell’industria discografica statunitense, e a 18 Oscar, vincendone quattro: due nel 1961 per migliore colonna sonora e miglior canzone per Colazione da Tiffany, uno nel 1962 per “Days of Wine and Roses” e un altro nel 1982 per la colonna sonora di Victor/Victoria, con Julie Andrews. Tra le altre cose scrisse un arrangiamento della musica del discusso Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli (1968), la colonna sonora della commedia con John Wayne Hatari! (1961) e quella di L’infernale Quinlan (1958) di Orson Welles, che sempre nella sua autobiografia definì «una delle cose migliori che abbia mai fatto».
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Lavorò molto anche per la tv. Per esempio erano sue la sigla della miniserie Uccelli di rovo, quella per i servizi televisivi della rete statunitense NBC sulle elezioni e quella di un segmento del Late Night With David Letterman, uno dei programmi della tv americana più popolari di sempre. Una delle composizioni più note di Mancini però è quella di Peter Gunn, una serie ispirata a un detective dallo stesso nome, che è popolarissima ancora oggi e segnò l’inizio della lunga collaborazione con Edwards, il regista della Pantera Rosa, con cui lavorò in totale a ventinove film, tre serie tv e un film per la tv. Il tema di Peter Gunn fu ripreso anche in una famosa canzone del film Blues Brothers.
L’American Film Institute, la prestigiosa associazione non profit statunitense che si occupa della storia e della tutela del cinema e della tv, ha incluso “Moon River” e “Days of Wine and Roses” nella sua classifica delle migliori 100 canzoni nel cinema del Novecento, rispettivamente al quarto e al 39esimo posto, mentre la musica della Pantera Rosa è al ventesimo in quella delle migliori colonne sonore, sempre secondo l’AFI. Mancini registrò inoltre decine di album di vari generi, la maggior parte dei quali con la RCA, e diresse più di 600 spettacoli, guidando anche l’orchestra sinfonica di Londra, quella di Los Angeles e la Filarmonica di Israele. La sua musica si sente in quasi 250 film e serie, se si contano anche quelli per cui ha musicato una o poche scene.
Morì il 14 giugno del 1994 a 70 anni a causa di complicazioni legate a un cancro al pancreas, mentre stava lavorando alla versione teatrale di Victor/Victoria, che non vide mai.
Nonostante il successo di “Moon River” gli avesse assicurato agio e ricchezze, Mancini continuò a comporre usando un pianoforte noleggiato, scrisse sempre il New York Times nell’articolo dedicato alla sua morte. Era uno dei compositori più popolari e richiesti di Hollywood, però diceva sempre di non fidarsi «di quella cosa chiamata successo». In una lettera in cui rispondeva a un ragazzo di 17 anni che gli aveva chiesto consigli per diventare un musicista professionista, scrisse tra le altre cose che «ci vogliono molti anni per rendersi conto che il successo è il risultato di parti uguali di maestria ed esperienza. Ed entrambe richiedono tempo». Secondo Mancini, nei momenti di stress bisognava «sempre fermarsi e dirsi: ‘Sto facendo quello che voglio fare più di ogni cosa’».