“IL PRESUNTO DOSSIERAGGIO? LE PROCEDURE, SENZA CONTROLLI, SI PRESTANO AD ESSERE VIOLATE…” – FRANCO GABRIELLI, EX CAPO DELLA POLIZIA DELL’AISI, SPOSTA IL FUOCO DEL CASO STRIANO SULLA CATENA DI RESPONSABILITÀ: “ALCUNE ACQUISIZIONI DI DATI AVVENIVANO NELL’AMBITO DELLA DNA, ALTRE NELLA GUARDIA DI FINANZA: NON C’ERA UN CENTRO UNIVOCO” – GLI ELOGI A MELILLO E IL SILURO A CAFIERO DE RAHO: “SE UNO STA AL VERTICE DI UNA STRUTTURA, CI STA NON PER STATUS MA PER VERIFICARE IL CORRETTO FUNZIONAMENTO DELL’UFFICIO AFFIDATOGLI” – “UNA REGIA DIETRO AGLI SPIONI? IL GRANDE VECCHIO? È LA CLASSICA ATTITUDINE A BUTTARLA IN CACIARA”
Estratto dell’articolo di Alessandro De Angelis per www.huffingtonpost.it
Dagospia
Franco Gabrielli, prefetto, ex capo della Polizia, ex direttore del Sisde e dell’Aisi, lei è un grande esperto di sicurezza. Che idea si è fatto di questa vicenda degli “spioni dell’Antimafia”?
Che è una vicenda inquietante perché una democrazia si fonda sulla credibilità delle istituzioni, e il male oscuro che la corrode in questa fase storica è proprio la sua progressiva perdita di credibilità. Il quadro emerso contribuisce a minarla.
Userebbe la parola “dossieraggio”?
No, e mi piacerebbe una discussione sul merito, fuori dalla polemica politica. Queste notizie impattano sulla legittima preoccupazione dei cittadini che i propri dati siano conservati nella riservatezza. E il punto chiave […] è che non siamo di fronte a un attacco hacker, […] ma […] a dei casi di infedeltà di pubblici funzionari.
DNA – DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA
Il cuore della democrazia, appunto.
Il funzionario dello Stato che non presta la giusta attenzione alla riservatezza dei dati delinque due volte: una verso […] lo Stato, l’altra verso il cittadino, minando il suo rapporto di fiducia con le istituzioni.
[…] Raffaele Cantone […] descrive un quadro di proporzioni rilevanti con oltre 33mila file violati. Come è possibile che la procura di Perugia sia stata in grado di scoperchiare il bubbone e l’Antimafia non ha anticorpi interni?
Il tema, con ogni evidenza, sono i controlli. E i controlli non sono solo un problema tecnologico. […]
Cioè?
Le procedure, senza controlli, si prestano ad essere violate. Anche perché leggo che alcune di queste acquisizioni di dati avvenivano nell’ambito della Dna, altre nella Guardia di Finanza, insomma non c’era un centro univoco. Questo modo randomico indica proprio un vulnus non banale nella procedura di controlli.
Questo “verminaio” di cui parla Cantone rivela però una fragilità dell’Antimafia. […] Pensa che il procuratore nazionale antimafia Melillo sia stato poco autocritico rispetto alla struttura che presiede?
Mi sembra che abbia dato una spiegazione convincente. Ha detto: io sono arrivato e ho trovato una situazione disastrosa, in termini di controlli tecnologici e di lavoro, e ho messo in atto procedure affinché tutto questo non si verifichi più. È stato anche abbastanza caustico nel rimettere ad un andamento anarcoide quello che è avvenuto, implicita sottolineatura negativa di quel che è stato fatto prima.
Verrebbe da dire: doveva scoppiare questo scandalo…
E questo è un altro aspetto della vicenda, molto italico […]. A volte ci si rende conto delle questioni solo quando accadono. Invece basterebbe il minimo di conoscenza di come le cose funzionano per mettersi nelle condizioni di prevenire prima che si verifichino.
Non mi scandalizzo che […] possa accadere che degli operatori di polizia accedano in maniera abusiva alle banche dati, come raccontano alcuni procedimenti penali in corso. Mi scandalizzo dell’entità del vulnus sui controlli.
Occorre agire sulle banche dati?
Il tema non è quello di limitare le banche dati. Una discussione solo su quello è il classico modo di buttare il bambino con acqua sporca.
Sarebbe come dire, davanti a un poliziotto o carabiniere che usa in modo sbagliato un’arma, “togliamo l’arma a tutti”. La parola magica è responsabilità. Significa che se uno sta al vertice di una struttura, ci sta non per status ma perché gli consente di verificare il corretto funzionamento dell’ufficio affidatogli.
La convince l’evocazione di una sorta di regia o di un grande vecchio dietro l’attività degli spioni cui ha fatto riferimento Melillo?
Si utilizza troppo spesso l’immagine del grande vecchio, […] l’idea del complotto, perché risponde alla logica che tanto più rendo straordinaria la possibilità che determinate cose si verifichino, tanto più assolvo le responsabilità delle strutture.
Come è possibile che nessuno si sia accorto di nulla […]?
Perché le procedure con le quali si è consentito a questa persona di agire lo consentivano. Torniamo al tema dei controlli. Io non mi stupisco che ci possano essere persone che fanno come meglio credono, ma mi piacerebbe che ognuno di essi ne rispondesse.
Esiste una funzione di “prevenzione generale” della sanzione: se questa vicenda finisce attribuendo responsabilità solo per il soggetto apparentemente coinvolto e non per gli omessi controlli si confermerebbe la poca edificante regola che è sempre l’ultimo anello della catena a pagare.
Quali sono i meccanismi che andrebbero introdotti?
Anche qui, bisogna uscire dai luoghi comuni e dagli slogan: la sicurezza zero non esiste […], il tema è mettere in campo un’azione efficace per ridurne le proporzioni. La chiave è sempre la riduzione del danno. E il danno si riduce con controlli, procedure, verifica di quello che le persone fanno.
La garanzia sta nell’assunzione di responsabilità da parte di chi ce l’ha. Tutti gli accessi sono loggati e infatti si è potuto accertare dell’abuso scaturito da un caso marginale e non ritenuto indicativo, ed è stato un po’ come tirare il filo.
Ma lei, che idea si fatto. A che scopo agisce uno spione?
Gli scopi sono i più disparati: dal compiacere l’amico giornalista, all’accertamento di informazioni per screditare una persona, alla semplice curiosità.
Io mi ricordo, quando da giovane funzionario si era agli albori delle prime banche dati, c’erano password di ufficio e sistemi deboli di controllo. E c’era chi per curiosità andava a vedere il vip del momento […]. Non sto sminuendo la negatività. ma credo che la quantità del fenomeno si spieghi anche con la pluralità dei motivi.
La convince la polemica politica sul “più grande scandalo della Repubblica”, orchestrato da precisi mandanti?
[…] Spesso ho sentito queste espressioni enfatiche sul “più grande scandalo”, in attesa del successivo. Ci siamo già dimenticati, solo per fare un esempio […], dello scandalo Telecom-Sismi e svariati filoni conseguenti in cui fu addirittura apposto il Segreto di Stato?
È la classica attitudine a buttarla in politica, strumentalizzando la cosa?
Quantomeno in caciara, e questo attiene a un altro vizio nazionale: il fatto che non abbiamo memoria, e dunque ogni fatto diventa un inedito, […] o al fatto che ce l’abbiamo selettiva, per cui ognuno sottolinea ciò che ritiene.
Mi piacerebbe una discussione più equilibrata e un confronto sulle azioni da mettere in campo affinché queste cose non si verifichino più. Perché quando si verificano, proprio perché minano la democrazia, sono una sconfitta per tutti.