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Come si progetta una politica monetaria? I consigli di Mario Draghi

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L’ex presidente Bce e premier italiano a Washington: la globalizzazione non solo non è riuscita a diffondere i valori liberali, ma li ha anche indeboliti all’interno dei Paesi che ne erano stati i principali sostenitori. I deficit pubblici saranno più alti. I governi si concentrino sugli investimenti, le banche centrali sulle aspettative di inflazione

Mario Draghi evidenzia i limiti della globalizzazione e indica le politiche necessarie per i governi (che dovrebbero focalizzarsi sugli investimenti) e per le banche centrali (che dovrebbero valutare soprattutto le aspettative di inflazione). L’ex presidente della Bce e premier italiano ieri è intervenuto a Washington, dove ha ricevuto un premio intitolato a Paul Volcker dalla Nabe (National Association for Business Economics).

I limiti della globalizzazione

L’apertura dei mercati globali «ha reso possibile l’ingresso nell’economia globale di dozzine di Paesi, facendo uscire dalla povertà miliardi di persone, 800 milioni solo in Cina negli ultimi 40 anni. Ha prodotto il miglioramento più ampio e veloce degli standard di vita mai visto nella storia», ha osservato Draghi. Tuttavia «l’impegno di alcuni dei principali partner commerciali a rispettare le regole è stato ambiguo fin dal principio».

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Così la globalizzazione ha avuto effetti contrastanti in Occidente. «Contrariamente alle aspettative, la globalizzazione non solo non è riuscita a diffondere i valori liberali, ma li ha anche indeboliti all’interno dei Paesi che ne erano stati i principali sostenitori, finendo anzi per alimentare la crescita di forze che guardavano maggiormente alla dimensione interna», ha rilevato Draghi. Inoltre «nell’opinione pubblica occidentale si è diffusa la percezione che i cittadini fossero coinvolti in una partita falsata, in cui milioni di posti di lavoro venivano spostati altrove, mentre i governi e le aziende restavano indifferenti».

L’impatto di pandemia e guerra

Una serie di eventi ha poi rafforzato questa tendenza, ha osservato l’ex presidente Bce. In primo luogo, la pandemia «ha evidenzato i rischi che derivano da catene di approvvigionamento globali estese per beni essenziali come i medicinali e i semiconduttori. Questa consapevolezza si è tradotta in una spinta al re-shoring delle industrie strategiche». In secondo luogo la guerra in Ucraina «ci ha indotto a ripensare non solo a dove acquistiamo beni, ma anche da chi». Nel frattempo, «è aumentata anche l’urgenza di affrontare il cambiamento climatico».

Le sfide all’orizzonte

Questa fase di profondo cambiamento nell’ordine economico globale «porta con sé sfide altrettanto profonde per la politica economica» secondo Draghi. Innanzitutto, «cambierà la natura degli shock ai quali sono esposte le nostre economie. Negli ultimi trent’anni, i principali fattori di discontinuità nella crescita sono stati rappresentati da shock di domanda». Nel nuovo contesto invece «è probabile che si presentino shock di offerta negativi più frequenti, più irregolari e anche più ampi».

Il secondo cambiamento chiave per Draghi riguarderà la politica fiscale che «sarà chiamata a svolgere un ruolo più significativo, il che significa deficit pubblici persistentemente più alti». I governi dovranno «incrementare gli investimenti pubblici», «affrontare le disuguaglianze» e «svolgere un maggior ruolo di stabilizzazione, un ruolo che in precedenza avevamo attribuito principalmente alla politica monetaria». Infine il terzo cambiamento per l’ex premier riguarda i modelli di business basati su ampi surplus commerciali che «potrebbero non essere più sostenibili politicamente».

Il mix di politiche fiscali e monetarie

In un mondo nel quale ci potrebbe essere una crescita minore e un’inflazione più volatile, secondo Draghi «avremo bisogno di un cambiamento nella strategia di policy complessiva, che si concentri sia sul completamento delle transizioni in corso sul lato dell’offerta, sia sullo stimolo alla crescita della produttività, campo in cui un’ampia adozione dell’intelligenza artificiale potrebbe essere d’aiuto». Per fare tutto questo sarà necessario «un costo del capitale sufficientemente basso per anticipare la spesa per gli investimenti, una regolamentazione finanziaria che supporti la riallocazione di capitale e l’innovazione, politiche della concorrenza che facilitino gli aiuti di Stato laddove siano giustificati».

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Inoltre «le richieste di coordinamento tra politiche probabilmente aumenteranno» e perciò Draghi ha ricordato che «l’indipendenza non deve significare separazione», come si è visto «durante la pandemia quando le autorità monetarie, fiscali e di vigilanza bancaria hanno unito le forze per limitare i danni economici dei lockdown».

I due elementi chiave

Allo stesso modo, nelle condizioni attuali, secondo Draghi una strategia coerente di policy dovrebbe avere almeno due elementi. Innanzitutto, «deve esserci un percorso fiscale chiaro e credibile che si concentri sugli investimenti». Questo «darebbe alle banche centrali maggiore fiducia nel fatto che la spesa pubblica oggi, aumentando la capacità di offerta, porterà a un’inflazione più bassa domani». In Europa, in particolare, «possiamo anche fare un ulteriore passo avanti finanziando una quota maggiore di investimenti a livello di Unione». In tal senso, ha aggiunto, «l’emissione di debito comune per finanziare gli investimenti amplierebbe lo spazio fiscale collettivo a disposizione, allentando così almeno in parte la pressione sui bilanci nazionali».

In secondo luogo, alle banche centrali spetterebbe il compito di «assicurarsi che la bussola principale per le loro decisioni sia rappresentata dalle aspettative di inflazione». Nei prossimi anni la politica monetaria dovrà distinguere sempre di più «tra inflazione temporanea e inflazione permanente, tra recupero dei salari e spirali self-fulfilling, tra le conseguenze inflazionistiche della spesa pubblica buona e di quella cattiva». Questa bussola consente per l’ex presidente Bce di «distinguere con precisione gli shock temporanei al rialzo dei prezzi dai rischi di inflazione generalizzata». 

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