Analisi Difesa
In seguito al colloquio in videoconferenza del 19 dicembre tra il ministro della Difesa Guido e il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti d’America, Lloyd Austin, il ministero della Difesa ha ufficializzato che “l’Italia invierà nel Mar Rosso la fregata Virginio Fasan”.
“Durante il colloquio è stata affermata l’importanza del principio di libera navigazione, valutato l’impatto sul commercio internazionale e discusse le possibili opzioni per garantire la sicurezza delle rotte marittime al fine di prevenire ripercussioni sull’economia internazionale, con pericolose dinamiche sui prezzi delle materie prime” ha dichiarato Crosetto.
“L’Italia farà la sua parte, insieme alla comunità internazionale, per contrastare l’attività terroristica di destabilizzazione degli Houthi, che abbiamo già condannato pubblicamente, e per tutelare la prosperità del commercio e garantire la libertà di navigazione e il diritto internazionale. È necessario aumentare la presenza nell’area al fine di creare le condizioni per la stabilizzazione, evitare disastri ecologici e prevenire, inoltre, una ripresa della spinta inflazionistica”.
L’invio della fregata Fasan nell’Oceano Indiano era previsto per febbraio nell’ambito dell’Operazione Ue antipirateria Atalanta ma l’integrazione dell’unità navale nell’Operazione Prosperity Guardian varata e guidata dagli Stati Uniti vedrà la Fasan operare con navi messe a disposizione anche da Francia, Regno Unito, Danimarca, Paesi Bassi, Spagna, Norvegia, Grecia, Canada, Bahrein e Seychelles.
Queste ultime due nazioni della lista offriranno una presenza dal valore simbolico e politico: le Seychelles non dispongono di unità navali impiegabili per intercettare droni e missili e il Bahrein, che schiera una vecchia fregata classe Perry ex US Navy, è al momento l’unico stato arabo ad aver aderito alla coalizione ed ospita a Manama il comando della 5a Flotta della US Navy.
L’Unione Europea ha deciso di sostenere l’operazione, come ha affermato via social l’Alto rappresentante Josep Borrell, sottolineando che “gli Stati membri hanno accettato di contribuire attraverso l’Operazione Atalanta che consentirà anche il coinvolgimento della Spagna, non disponibile a partecipare se non all’interno di dispositivi NATO o UE.
L’Operazione Atalanta, il cui comandante è il vice ammiraglio spagnolo Ignacio Villanueva Serrano, ha il suo quartier generale nella città di Rota e sui occupa di garantire la sicurezza marittima contro gli atti di pirateria nel nord-ovest dell’Oceano Indiano e del Mar Rosso.
Resta comunque evidente che, nell’Operazione Prosperity Guardian, il dispositivo navale UE sarà posto sotto il comando statunitense, a quanto sembra della Task Force 153 istituita nell’aprile 2022 e operante nel Mar Rosso, nello Stretto di Bab el Mandeb e nel Golfo di Aden.
All’operazione internazionale non aderiscono Russia e Cina ma neppure la Germania e l’Australia. I motivi della mancata adesione di Berlino sarebbero di ordine costituzionale e militare. Per il ministero della Difesa la Marina è in condizioni di partecipare all’operazione ma, scrive il quotidiano Handelsblatt, la questione fondamentale è “se e come” la Germania, dati i limiti della sua Costituzione, possa partecipare a una missione non organizzata sotto l’egida di ONU, UE o NATO ma come “coalizione di volenterosi”. Inoltre il giornale ha evidenziato che delle tre fregate da difesa aerea tipo F124 (classe Sachsen) in dotazione alla Marina tedesca soltanto la più recente F221 Hessen è attualmente operativa.
I ministeri degli Esteri e della Difesa hanno ripetuto di non aver ancora concluso la valutazione della possibile partecipazione alla coalizione e il 20 dicembre il governo tedesco ha chiesto all’Iran di intervenire sulle forze Houthi yemenite affinché fermino gli attacchi contro le navi mercantili nel Mar Rosso.
Il primo ministro australiano, Anthony Albanese, ha escluso di dispiegare navi o aerei nel Mar Rosso rispondendo negativamente alla richiesta degli Stati Uniti ma offrendo da gennaio il contributo simbolico di 11 militari da assegnare al quartier generale dell’operazione che sarà a Manama (Bahrein), presso il comando della 5a Flotta statunitense e del Comando navale dello US Central Command. “Gli Usa comprendono che la migliore maniera per noi di dare sostegno alla missione è attraverso il supporto diplomatico”, ha detto Albanese, la cui posizione è stata accolta con favore a Pechino, come ha riferito il quotidiano di stato cinese Global Times.
I rischi
L’operazione si annuncia di tipo difensivo e contraddistinta dalla scorta e protezione dei mercantili impegnati sulla rotta dal Canale di Suez allo Stretto di Bab el Mandeb (e viceversa), rotta peraltro ormai abbandonata da quasi tutti i grandi gruppi marittimi internazionali che hanno optato negli ultimi giorni per la più sicura (lunga e costosa) circumnavigazione dell’Africa.
L’ingaggio di droni e missili lanciati dal territorio yemenita avverrà con missili antiaerei a breve e medio raggio e con sistemi di difesa di punto (a corto e cortissimo raggio): tuttavia il rischio che gli Stati Uniti optino unilateralmente per l’attacco al territorio yemenita e alle basi Houthi impiegate per il lancio di droni e missili impiegando la portaerei Eisenhower nel Golfo di Aden e le forze presenti nella base di Camp Lemonnier (Gibuti) che rischierebbe di scatenare rappresaglie anche contro le navi dell’Operazione Prosperity Guardian”
Ipotesi che sembra preoccupare anche il vicepremier e ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, che in un’intervista televisiva ha sostenuto che “un cambio delle regole di ingaggio rischia di far peggiorare ulteriormente la situazione: non credo che si debba essere coinvolti in azioni offensive, semmai in azioni difensive”.
L’assenza di nazioni arabe nella coalizione navale appare legata al rischio di trovarsi coinvolti in un nuovo conflitto con gli Houthi proprio ora che lunga e sanguinosa guerra yemenita sta giungendo al termine grazie anche alle intese tra monarchie sunnite del Golfo e Iran mediata dalla Cina.
E’ evidente che nessuna nazione araba ha interesse oggi a colpire una milizia araba che “combatte” per la Palestina e che chiede, per cessare gli attacchi al naviglio, la fine dell’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza: cioè la stessa richiesta presentata più volte dalle nazioni arabe alle Nazioni Unite.
In questo contesto l’operazione Prosperity Guardian, come un eventuale attacco statunitense agli Houthi, rischia di trasformarsi agli occhi del mondo arabo e islamico come l’ennesima aggressione a uno stato arabo effettuata dall’Occidente schierato al fianco di Israele: uno scenario che contribuirebbe a indebolire il ruolo occidentale in Medio Oriente.
Non a caso, in un discorso tramesso in Tv il 20 dicembre, il leader del gruppo sciita yemenita di Ansar Allah, Abdul Malik al-Houthi, accusando gli americani di essere ”complici degli orribili crimini che accadono in Palestina” ha sostenuto che ”alcuni paesi europei come Francia, Germania e Italia hanno una nera storia coloniale” alle spalle, e da loro ”non ci aspettiamo che svolgano un ruolo positivo a beneficio del popolo palestinese”.
Le reazioni degli Houthi
Mohammed al-Bukhaiti, uno dei leader del movimento Houthi noto come Ansar Allah, ha detto ad Al Jazeera che il suo gruppo affronterà ogni coalizione formata dagli Stati Uniti che dovesse essere dispiegata nel Mar Rosso. “Anche se gli Usa riuscissero a mobilitare il mondo interno, le nostre operazioni militari (nel Mar Rosso) non si fermerebbero fin quando non si porrà fine ai crimini di genocidio a Gaza e non sarà consentito l’arrivo di cibo, medicine e carburante alla popolazione assediata nella Striscia, indipendentemente dai sacrifici che ci costerà”,
Il portavoce Muhammad Abdel Salam ha ribadito che “il fine delle operazioni navali di Ansar Allah è sostenere il popolo palestinese nell’affrontare l’aggressione e l’assedio di Gaza, non fare una dimostrazione di forza o una sfida per nessuno. Chiunque cerchi di espandere il conflitto deve assumersi la responsabilità delle conseguenze delle sue azioni”. Salam valuta che “la coalizione formata dagli USA con lo scopo di proteggere Israele e militarizzare il mare senza alcuna giustificazione, non impedirà allo Yemen di continuare le sue legittime operazioni a sostegno di Gaza”.
“Prendiamo di mira solo le navi destinate in Israele”, ha affermato Salam elogiando le compagnie marittime “che hanno annunciato di aver sospeso le spedizioni verso i porti israeliani. “La pressione su Israele deve aumentare, affinché finisca l’assedio di Gaza. Israele sta compiendo massacri orribili. Non possiamo fermarci”
Un membro del Consiglio politico supremo Houthi, Mohammed Ali Al-Houthi, ha dichiarato in un’intervista alla televisione iraniana Al-Alam che “ogni paese che agisca contro di noi avrà le sue navi prese di mira nel Mar Rosso”.
Implicazioni economiche
Nello Stretto di Bab el-Mandeb, lungo poco più di 32 chilometri tra Gibuti e lo Yemen, transitano 23 mila navi l’anno, il 12% del commercio globale (30% per i container), il 20% dell’energia che viaggia via mare (petrolio gas e prodotti raffinati).
Gli attacchi alle navi mercantili hanno fatto aumentare sensibilmente i costi assicurativi per navi e carichi imbarcati, che si riflettono sulle merci trasportate e sui consumatori finali. Confitarma in una lettera ha chiesto urgentemente al governo di valutare il dispiegamento di una unità navale della Marina Militare italiana in quell’area”. Preoccupazione da Assoporti per cui “il Mediterraneo rischia di subire un forzato rallentamento della movimentazione. Se questa decisione si dovesse protrarre nel tempo, per i porti italiani sarebbe un danno serio”. Per il presidente di FederPetroli Italia, Michele Marsiglia “alcuni mercati interni del greggio hanno già rialzato il costo del barile a più di 3 dollari e la situazione assicurativa e dei noli è fuori controllo”.
. Secondo la US Energy Information Administration, nella prima metà del 2023 da Bab al-Mandeb sono transitati 8,8 milioni di barili al giorno di petrolio. Le spedizioni di GNL attraverso lo stretto sono state invece pari a 116 milioni di metri cubi/giorno nello stesso periodo. Numeri che, visti gli stop al traffico, impattano inevitabilmente sul prezzo di petrolio e gas, specie dopo che anche colossi dell’energia come BP ed Equinor hanno interrotto le spedizioni attraverso il Mar Rosso.