Con il Digital services act Bruxelles vuole imporre le sue regole su profilazione e moderazione online. Ma la macchina dei controlli è onerosa e complessa: riuscirà a farla funzionare?
La prova del nove del Dsa, il piano dell’Europa per dominare sulle big techCl
Con il Digital services act Bruxelles vuole imporre le sue regole su profilazione e moderazione online. Ma la macchina dei controlli è onerosa e complessa: riuscirà a farla funzionare?App di Google Facebook Amazon e App Store di Apple che sono sottoposte al DsaApp di Google, Facebook, Amazon e App Store di Apple, che sono sottoposte al DsaLIONEL BONAVENTURE/AFP VIA GETTY IMAGESLa data segnata in rosso sul calendario è il 25 agosto. Quando scadono i termini per adeguarsi alle nuove regole nuove regole europee sul digitale, il Digital services act (Dsa), per 19 grandi piattaforme. Da Amazon a Tiktok, da Google a Instagram, da Booking a Facebook. Più trasparenza su algoritmi e pubblicità, lotta alla violenza online e alla disinformazione, protezione dei minori, stop alla profilazione. Sono questi alcuni degli obblighi di uno dei due nuovi pacchetti di leggi con cui l’Unione europea vuole regolare i giganti del web. In particolare quelli che ogni mese offrono servizi ad almeno il 10% della popolazione dell’Unione europea, ossia 45 milioni di persone. Come Google search, che dichiara 332 milioni di utenti. O Wikipedia con i suoi 151 milioni.Il 25 aprile la Commissione europea ha designato 19 tra grandi piattaforme online (very large online platform, Vlop) e motori di ricerca (very large online search engine, Vlose) che per primi devono adeguarsi alle regole del Dsa. Tempo: quattro mesi. Nell’elenco c’è solo una piattaforma made in Europe: l’ecommerce tedesco Zalando. Che peraltro ha contestato l’inclusione nella lista. Per il resto l’elenco comprende Google e le sue articolazioni (search, shopping, maps, play) e Youtube, Meta con Instagram e Twitter, poi Bing, X (già Twitter), Snapchat, Pinterest, LinkedIn, Amazon (che ha fatto ricorso a sua volta), Booking, Wikipedia e l’App Store di Apple. Dal versante cinese arrivano TikTok e Alibaba Express.Cosa succede:La prima scadenzaEffetti preliminariLa fase dueLa sede di Zalando a BerlinoPerché Zalando si ribella alle regole europee sul digitaleSecondo la piattaforma di ecommerce tedesco, le norme del Digital services act non si applicano ai suoi servizi. E deposita un ricorso contro la Commissione. Segno che per le politiche digitali di Bruxelles si prospettano tempi duriLa prima scadenzaPer questo la data del 25 agosto è così importante per Bruxelles, che scommette su questi strumenti per controbilanciare il predominio dei colossi tecnologici di Stati Uniti e Cina. Da adesso si apre la fase di controllo e applicazione della legge. Che vuole dire anche multe, fino al 6% del fatturato globale, o blocco temporaneo dell’attività. Il Digital services act impone una stretta sulla profilazione online, per la quale gli operatori devono prevedere meccanismi di uscita, termini di servizio comprensibili anche da un bambino, una maggiore protezione dei minori, più trasparenza sulla pubblicità e sulla raccomandazione dei contenuti e una dura lotta a contenuti illeciti, violenza online e fake news.Per adesso la Commissione non si sbilancia sul rispetto della data. Entro il 25 agosto il Dsa prevede che gli operatori scrivano un rapporto di valutazione dei rischi sistemici. Ossia un’analisi che individui i potenziali pericoli insiti nel dna stesso delle piattaforme, come la diffusione di fake news o ripercussioni sulla salute mentale degli utenti, e stabilisca le priorità di intervento. Un portavoce della Commissione europea prevede che “possa slittare leggermente”. Il motivo? Dipende da quando le piattaforma hanno ricevuto la notifica della designazione come Vlop e Vlose. “Ci sarà un periodo di grazia – aggiunge un funzionario -. Interverremo solo se vedremo dei ritardi consistenti”.Secondo il funzionario, tuttavia, l’approssimarsi della scadenza ha già spinto molte piattaforme a prendere provvedimenti. Facebook, Instagram, Snapchat, Google e Tiktok hanno annunciato varie modifiche basate sul Dsa. Peraltro nei mesi scorsi cinque Vlop, ossia Snapchat, Instagram, Facebook, X e Tiktok, hanno condotto degli stress test in tandem con Bruxelles, da cui è emersa la necessità di lavorare molto per centrare gli obiettivi della legge. Anche perché dal 25 agosto sono tutte chiamate a rispondere agli oltre 40 articoli del pacchetto, avviato sotto l’esecutivo della presidente Ursula Von der Leyen e giunto alla sua messa a terra.
Sembra questo il responso dei primi dati che le grandi piattaforme online hanno pubblicato dopo l’entrata in vigore delle nuove regole europee sul digitale. Ma i numeri non raccontano tutta la storiaEffetti preliminariSecondo un funzionario della Commissione una delle maggiori novità riguarda la moderazione. Tutte le piattaforme devono dotarsi di organismi che spieghino le ragioni per cui un contenuto è stato rimosso o sottoposto a shadow banning e si incarichino di gestire eventuali ricorsi. Gli utenti possono sempre rivolgersi a un giudice, ma nel 2024 il Dsa istituirà anche organismi indipendenti, a livello nazionale, per gestire le cause. In Italia la Commissione europea sta firmando un memorandum of understanding con l’Autorità garante per le comunicazioni (Agcom), affinché funga da snodo locale per la gestione delle regole del Dsa.Bruxelles ha ben chiaro che non potrà gestire da sola il Digital services act. Finora ci sono 19 operatori da sorvegliare, che tuttavia servono milioni di persone (332 milioni Google search, 255 milioni Facebook, 125 milioni Tiktok). Da febbraio 2024 il regolamento si applicherà anche alle piattaforme più piccole: 10mila in totale, secondo i calcoli della Commissione. La direzione generale Connect, deputata alla partita, si rafforzerà con uno staff di 100 persone dedicate al Dsa, tra esperti legali, professionisti del campo dei media, scienziati dei dati. L’anno prossimo è di portare la quota a 123 (80 invece si dedicheranno al Digital markets act – Dma, un pacchetto parallelo). Numeri che non bastano a fronte del lavoro che si prospetta. Un funzionario della Commissione ammette che “ancora non abbiamo stabilito le priorità del lavoro”, ma nell’immediato ci saranno da revisionare i rapporti dalle prime big tech. E provvedimenti da prendere, se necessario, visto che il funzionario si aspetta “alcuni documenti molto ricchi, ma altri molto poveri”.Per questo Bruxelles conta anche sull’aiuto del Centro europeo per lo studio degli algoritmi, (Ecat) avviato ad aprile a Siviglia, che arriverà a 30 persone il prossimo anno. Poi di Europol, l’agenzia di polizia comunitaria, per perseguire i reati online. E ancora di una rete di professionisti, ricercatori e centri studi. Serviranno da febbraio, quando entreranno in vigore le regole sui trusted flagger (personalità affidabili con il potere di segnalare contenuti illeciti) e quelle sulla condivisione dei dati per la ricerca. Infine c’è il ruolo delle autorità locali, come l’Agcom, che dovranno sorvegliare le piccole piattaforme nazionali. In Irlanda, nel mirino per la gestione lasca dei procedimenti sulla privacy per il Gdpr a causa di un numero di personale insufficiente a sbrigare il fiume di pratiche relative alle big tech che hanno sede sull’isola, e in Francia è già scattata una corsa ad assumere personale per rafforzare queste istituzioni. Scoprendo però che, sul mercato europeo, c’è per esempio scarsità di data scientist.La fase dueLa Commissione sa che deve far funzionare il Digital services act. Ha investito politicamente molto su questa legge, ha creato un mercato regolato che prevede che le piattaforme versino ogni anno una fee calcolata sul loro numero di utenti europei e pari a un massimo dello 0,05% del fatturato annuo globale, per far funzionare la macchina dei controlli. L’anno prossimo Bruxelles conta di incassare 45 milioni.La storia però insegna che il passaggio dalla teoria alla pratica non è scontato. Il Gdpr, per esempio, ha sofferto molto delle maglie larghe dell’autorità per la protezione dei dati irlandese, che gestisce le pratiche con lentezza e con sentenze molto accomodanti. E le critiche, oltre che dalle piattaforme stesse, sono arrivate dalla società civile. Che anche con il Dsa non ha mancato di mettere nel mirino alcuni approcci che rischiano censori e altri che potrebbero fare solo il solletico alle big tech. Organizzazioni non governative per i diritti umani, come Eko e Global Witness, contestano l’efficacia delle misure contro la violenza online.A settembre Bruxelles aprirà anche il dossier del Dma, che regola i mercati digitali. Entro il 6 è attesa l’indicazione dei primi operatori che devono adeguarsi, i cosiddetti gatekeeper. In più la Commissione è pronta a indicare nuove Vlop e nuovi Vlose sotto il Dsa. Lo ha anticipato un funzionario: “Abbiamo identificato un certo numero di obiettivi e il processo è in corso”. Bocche cucite sui tempi, ma è chiaro il motivo: prima di passare alla fase due, occorre chiudere la fase uno. E il lavoro da fare è ancora molto.