31 agosto 2023
AFRICA E DEJÀ COUP
ISPI
Dopo 14 anni al potere e una contestata rielezione, il presidente del Gabon, Ali Bongo Ondimba è stato rovesciato da un colpo di stato. I militari hanno annullato i risultati del voto di sabato scorso, chiuso le frontiere fino a nuovo ordine e nominato il generale Brice Clotaire Oligui Nguema presidente della transizione. La crisi politica del piccolo paese dell’Africa centro-occidentale arriva poche settimane dopo il colpo di stato in Niger e si inserisce in un contesto di generale instabilità politica in diverse località del continente. I colpi di stato militari – che avvenivano con cadenza regolare nei decenni successivi all’indipendenza – sembrano essere tornati di gran moda dopo un periodo di relativa stabilità democratica. Ce ne sono stati due in Burkina Faso nel 2022, e due tentativi falliti in Guinea Bissau, Gambia e a Sao Tomé e Principe. L’anno precedente, nel 2021, ce n’erano stati sei, quattro dei quali riusciti. Nel complesso, negli ultimi tre anni, otto governi della regione saheliana e centroafricana sono caduti sotto i colpi dei putsch militari. Eppure, parlare di ‘domino’ per quella che il presidente francese Emmanuel Macron ha definito “un’epidemia di golpe” potrebbe rivelarsi avventato. L’Africa centrale, il Sahel e l’Africa occidentale non si trovano ad affrontare gli stessi problemi. C’è piuttosto una convergenza di problematiche e un’insofferenza crescente per regimi che, sotto l’apparenza democratica, nascondono interessi privatistici tradendo in modo più o meno sfacciato il patto sociale coi cittadini.
Un’epidemia di golpe?Nella notte tra il 26 e il 27 luglio, una giunta militare ha annunciato la destituzione del presidente nigerino Mohamed Bazoum, provocando un terremoto politico nell’intera regione dell’Africa occidentale. Nonostante i tentativi di mediazione con i paesi dell’area, non si è arrivati ad un accordo e il 19 agosto, il generale e capo della giunta Abdourahamane Tiani ha dichiarato di prevedere un “periodo di transizione massimo di tre anni”, al termine del quale si terranno elezioni che dovrebbero portare al ritorno del potere ai civili. Una road map categoricamente rifiutata dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), che minaccia di intervenire militarmente nel paese. “È iniziata una nuova era di instabilità”, ha avvertito l’Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza Josep Borrell. E mentre i Ventisette valutano sanzioni contro i golpisti nigerini, le turbolenze internazionali si riverberano sulle vicende africane, nella consapevolezza che i cambi di regime offrono nuove sponde alla penetrazione di Cina e Russia. Così, ieri all’Onu Mosca ha posto il veto contro il rinnovo delle sanzioni ai danni della giunta militare al potere in Mali. Una sfida che alimenta il timore che il gruppo paramilitare russo Wagner possa restare ‘operativo’ in Africa, nonostante la morte recente del suo capo, Yevgeny Prigozhin.
Il Gabon è diverso?Dal Niger al Gabon, ultimo in ordine di tempo, tutti i paesi caduti nelle mani dei militari – Sudan a parte – sono membri della ‘Francafrique’. Quanto basta a immaginare un filo rosso da Niamey a Libreville: in entrambi i casi, Parigi gioca un ruolo forte, come ex potenza coloniale, presente con forze militari dispiegate sul terreno e rilevanti interessi minerari. E tra gli argomenti più citati nelle analisi dei politologi c’è il risentimento “antifrancese” delle popolazioni coinvolte. I motivi non mancherebbero: dall’aver sostenuto leader deboli e corrotti in cambio di enorme libertà d’azione nelle economie locali, anche attraverso l’adesione al Franco Cfa, al dispiegamento di contingenti militari pronti a garantire gli interessi di Parigi. Eppure ogni paese è un caso a sé e quel che vale per il Niger non è detto valga anche per il Gabon. Qui la cattiva governance è imputabile soprattutto al lungo periodo di governo del leader in carica, Ali Bongo, ed è la sua testa (politicamente) che la popolazione chiede. Non a caso il golpe che ha rovesciato il presidente ha coinciso con la diffusione dei risultati di elezioni che, dopo un voto opaco e sospetto, lo avrebbero visto nuovamente ri-eletto a 14 anni dall’inizio dei suo primo mandato. Nonostante la condanna del colpo di stato da parte di Parigi, la mancanza di sostegno popolare per Bongo suggerisce che ci sarebbe poca voglia – internamente o esternamente – di riportarlo al potere. “A Libreville – spiega il corrispondente di Jeune Afrique Mathieu Olivier – non si sono viste bandiere russe per le strade e la gente si aspetta che Parigi sostenga la transizione che i militari si sono impegnati a garantire in tempi rapidi”.
Sfida alle democrazie di facciata?Anche se non è la Francafrique, un filo rosso che unisce le crisi politiche africane in atto – che non colpiscono esclusivamente l’ex impero coloniale francese – però c’è. E riguarda le istituzioni e i principi democratici, la cui ‘autenticità’ e capacità di risolvere i problemi è sempre più spesso messa in discussione. All’indomani del colpo di stato del 26 luglio in Niger, i soldati che hanno rovesciato Mohamed Bazoum hanno motivato la loro azione con l’incapacità del presidente di preservare la sicurezza dei nigerini di fronte al terrorismo, ma anche con una cattiva governance economica. Anche la giunta maliana aveva avanzato argomenti simili. In Gabon a cadere sotto i colpi della giunta militare non è stato solo un presidente, ma un’intera dinastia che governava il paese come un’impresa di famiglia da oltre mezzo secolo. In questi contesti, i colpi di stato acquistano legittimità presso opinioni pubbliche che credono ormai poco in elezioni e governi che di democratico hanno poco più che la facciata. “Questa gente tiene interi paesi in ostaggio – fa notare Chidi Odinkalu, della Fletcher School of Law and Diplomacy – “E allora qual è la differenza tra un colpo di stato militare e un’elezione truccata?”.