Al. Tallarita

Ieri pomeriggio a Reggio Calabria, l’incontro:
“Lavoro e sicurezza tra conferme e nuove sfide” in cui si è parlato di lavoro, sicurezza, infortuni sul lavoro.
Quello che ha voluto fare la CISL, nella persona di Nausicaa Sbarra Segretaria provinciale Cisl e di Romolo Piscioneri segretario generale CISL, è stato, anche invitando il professore Marco Lai, del Centro Studi Cisl di Firenze, responsabile dell’Area Giuslavoristica e con Ilaria Colombaro esperta in sicurezza e infortuni sul lavoro, creare un momento, in cui si è potuto parlare di vittime sul lavoro. Che avvengono, all’interno di un cambiamento sociale, evidente. Che pone l’iperproduzione e la performatività, d’innanzi all’incolumità della persona.

E dinnanzi a quella vera visione del lavoro, come realizzazione dei propri talenti e di se stessi, in quanto esseri sociali. Che racchiude quelle azioni sociali, che danno dignità alla persona, che può e deve realizzare se stessa.

E nel corso del dibattito, si è infatti, accennato, a quel cambiamento sociale che stiamo vivendo.


È infatti, con sguardo antropologico, che è necessario analizzare il mondo del lavoro. Il contesto, la società e il luogo in cui il lavoro si svolge, che in questo quadro più ampio così, si inserisce, quando si parla poi, nello specifico, di sicurezza sul lavoro .

Perché le morti sul lavoro, centro della conversazione dell’incontro, avvengono non solo per imprevedibili incidenti (che ahimè ci sono..) ma anche è soprattutto, perché alcune (troppe) aziende, industrie, imprese, pressate dalla produttività e dalla concorrenza performativa, dei numeri, e non degli uomini, aumentano i tempi, di produzione, manomettono le macchine per farle produrre di più, non pongono in essere il tutoraggio vero e proprio, non attuano tutte quelle azioni concrete, che proteggono la salute e la vita, dei suoi lavoratori.

E i numeri, presenti nella relazione della segreteria Sbarra, sono impietosi..Troppe morti sul lavoro, sono i numeri di una guerra, che lascia quali vittime, i lavoratori e le loro famiglie.

Tra gli ospiti , importante la presenza in collegamento, on line, della signora Marrazzo, madre della signora Luana D’Orazio. Vittima del lavoro e caso eclatante, donna che ha perso la vita, in un orditoio. Che le perizie hanno palesato andasse, in qual tragico istante, alla massima velocità e che fosse stato manomesso come da rilievi.

Vittime di quell’iper-produttività, che delinea, l’andamento totale della società contemporanea, che chiede la presenza continuativa, in performance e giudicabile da stelline… Nuovi modelli di produzione, che non guardano affatto alle esigenze umane.

Né pongono in primo piano, la possibilità di lavorare, senza porre a rischio, il corpo.

Dove l’algoritmo ha la meglio sulla ragione e sulla coscienza…

Né rispetto alla macchina, che anziché essere creazione umana, fa oggi del corpo un oggetto, sottomesso, ai suoi parametri di andamento, programmati però dall’uomo stesso. Come entro un procedimento, di autodistruzione.

Vittime così, della materia, a risentirne sono le famiglie e l’interiorità e socialità, della persona, perché resta gravemente menomata dalla macchina, o con gravi patologie, dovute all’esposizione continuata a sostanze nocive.

Mentre il lavoro, perde l’etica con cui nasce, come attività umana e sociale.
Quel lavoro, che dovrebbe avere la cultura della vita e non della morte. Quel lavoro, che dovrebbe portare crescita alla persona, favorendone la realizzazione, l’evoluzione e la crescita. E non la distruzione della persona.

Gli interventi dell’incontro, si sono intervallati a braccio o con relazioni e apporti di dati tecnici, sulle varie questioni. Numeri e dati sugli incidenti e i decessi sul lavoro, norme, (laddove infrante..) sicurezza (laddove inesistente…), tutoraggio (..ove presente).

Inoltre, sono arrivate altre testimonianze e esperienze, rispetto alle condizioni lavorative e agli incidenti sul lavoro, specie nel settore delle infrastrutture.

La questione importante di questo incontro, è stata a mio avviso, questa presa di coscienza, che ci si trovi, all’interno di un nuovo cambiamento sociale, antropologico.

Tornare indietro però, lo dico chiaramente, non si può.
Pensare di poter fermare l’evoluzione e riportare le cose a ieri… È assolutamente utopistico.
Bisogna invece, unica opportunità, lavorare tutti insieme, per cercare di capire il presente, comprendere dove l’evoluzione sociale stia portando. Analizzarne e contraddizioni, i gravi difetti, dove nascono come affrontarne le conseguenze.
Prevedere, il dove si possa giungere e poi cercare di proteggere, la nuova classe lavoratrice, alla luce della nuova rivoluzione industriale, tecnologica, informatica e virtuale. In rapporto con la macchina robotica e l’IA in particolare, affinché l’uomo, non diventi uno strumento utilizzato e schiacciato dalle braccia fredde della macchina, ma che invece, si torni a porre l’uomo, al centro del mondo.

Si può e si deve, comprendere e poi agire.
Perché si è arrivati all’esasperazione della corsa alla produttività, in una società, che oramai è diventata, società che favorisce la performatività eccessiva, in nome di tutto e di se stessi, in quanto non-macchine.

Che si pone oltre i limiti del corpo.
E la stabilità mentale, della persona umana.

Tutto avviene in nome della performance, dell’essere giudicati, dell’essere superiore a qualcuno o a qualcos’altro, in un’avvelenata competitività.

Anche rispetto alle imprese estere, come quelle della Cina. Dove ben sappiamo, che la produzione, schiaccia i diritti delle persone, percepiti, come numeri. Privi per lo più, dei basilari diritti.

Solo attraverso il dialogo, di antropologia del lavoro, sociologia, economia, ética, discussi agli stessi tavoli, si può pensare di trovare delle soluzioni.

A cui i sindacati, devono essere e farsi e studiosi e sempre, portavoce delle istanze dei lavoratori. Solo cosi, si potrà fare un vero lavoro, per affrontare il presente e costruire, il mondo del lavoro che verrà dopo.

Che pongano l’uomo, nuovamente, al centro di tutto questo e non lo alienino, mentre si pone in atto l’azione performativa lavorativa, in nome della produzione e non piu, della sua realizzazione.

Con l’azione di quello strumento, il primo, che è il corpo.

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