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“Istruzioni per rendersi infelici”: già dal titolo e dalla presentazione si comprende come l’autore di questo piccolo saggio, il filosofo e psicologo Paul Watzlawick, voglia rovesciare la prospettiva. Ci sono decine di manuali e testi sulla felicità.Si discute sempre di come si possa essere felici, di ricerca della felicità.Ma scrive Watzlawick “è giunta l’ora di farla finita con la favola millenaria secondo cui felicità, beatitudine e serenità sono mete desiderabili della vita. Troppo a lungo ci è stato fatto credere, e noi ingenuamente abbiamo creduto, che la ricerca della felicità conduca infine alla felicità”.
Non si tratta di un testo pessimistico, anzi.L’intento dell’autore è quello di procedere a rovescio, utilizzando anche i meccanismi dell’ironia. Con questo testo, come dichiara il titolo, si danno istruzioni per essere infelici, con sé stessi e con gli altri. Se la ricetta per la felicità non esiste, anzi è difficile persino definire il concetto stesso di felicità, che appare del tutto soggettivo, capire dove si sbaglia forse è molto più semplice.
Con “Istruzioni per rendersi infelici” Watzlawick analizza e spiega tutti quei meccanismi, spesso inconsci e automatici, attraverso i quali causiamo la nostra stessa infelicità e sofferenza. Mette in evidenza le manie, le fissazioni e quei circoli viziosi che noi stessi alimentiamo, rinunciando alla nostra serenità. Definisce quei comportamenti che mettiamo in atto, giorno dopo giorno, in uno schema prefissato, che non siamo in grado di rompere, e che condizionano pesantemente la nostra stessa esistenza.In un certo senso, il testo può essere diviso in due parti. Nella prima si discute riguardo i modi attraverso i quali è possibile rendersi infelici “da soli”, in modo autosufficiente.
In una seconda parte, invece, si trattano più nello specifico le relazioni di coppia. In questo articolo ci occuperemo dei capitoli relativi all’infelicità autosufficiente. Per l’infelicità di coppia se ne parlerà più avanti, in un secondo approfondimento.Restare rigidamente fedeli a sé stessiIndiceIl primo capitolo è dedicato a quello che Watzlawick definisce “sublime ideale” per i suoi lettori che cercano una condizione perfetta di infelicità. È una condizione che ci si procura “restando fedeli a sé stessi”, che significa una coerenza portata al limite.Tutto si basa sulla convinzione che esista un unico punto di vista accettabile e valido: il proprio. Si tratta di una convinzione che porta con sé una estrema rigidità, l’incapacità di scendere a compromessi e di essere più duttile, cercando altre prospettive o soluzioni, chiudendosi a ogni possibilità.
Scrive Watzlawick che tra l’essere e il dover essere, chi pensa e si comporta secondo questo principio sceglie sempre il dover essere, come vorrebbe che il mondo fosse e lo rifiuta per come è nella realtà. In lui la riluttanza diventa persino fine a sé stessa. Arriva a rifiutare i consigli altrui per il solo fatto che si tratta di consigli, anche quando sono espressi nel suo stesso interesse. Nella forma più estrema di questo atteggiamento, si rifiutano persino le proprie stesse raccomandazioni.
“Il serpente cioè non solo morde la coda, ma divora se stesso” conclude l’autore.Essere infelici restando ancorati al passatoViene poi la parte che Watzlawick intitola “Quattro giochi con il passato”. Si tratta di un interessante capitoli in cui l’autore sviscera tutti quei meccanismi mentali e psicologici che hanno a che fare con il tempo e i ricordi. In primo luogo, uno dei modi attraverso i quali ci si garantisce una dose di dolore quotidiana è l’abitudine a idealizzare il passato, trasfigurandolo nella stagione più bella della propria vita. Così subentra il rimpianto per un’età perduta, che non può più essere recuperata, quella della giovinezza.
In questa dimensioni si può collocare anche la malinconia per una relazione d’amore finita male. Scrive Watzlawick “Resistete alla ragione, alla memoria e ai vostri migliori amici, che con le loro parole vi vogliono far credere che la relazione fosse da tempo mortalmente malata, e che troppo spesso vi siete chiesti in qual modo avreste potuto fuggire da quell’inferno.
Restare ancorati al passato, crogiolandosi nei ricordi, significa anche perdere il contatto con il presente, non avere il tempo di dedicarsi all’oggi. E, di conseguenza, non vedere quel che si ha, quei piccoli momenti di trascurabile felicità che ogni giorno sono sotto i nostri occhi. Ci si comporta come la moglie di Lot, il personaggio biblico che fugge dalla distruzione di Sodoma. A lei l’angelo comanda di salvarsi e non voltarsi indietro. Eppure lei si gira e si tramuta in una statua di sale. Un’immagine che rappresenta perfettamente la condizioni di chi volge lo sguardo verso il passato, rinunciando alla vita presente, alla novità, all’imprevisto.
Alcuni cercano nel passato le cause dei propri mali, seguendo un ragionamento di tipo quasi deterministico. E arrivando, in questo modo, a scansare ogni tipo di responsabilità e a escludere che qualcosa possa cambiare in meglio.Scrive ironicamente l’autore “Quello che ci cagionarono Dio, mondo, destino, natura, cromosomi e ormoni, società, genitori, parenti, polizia, insegnanti, medici, capi o soprattutto amici, è talmente grave che la minima insinuazione circa il poter fare qualcosa contro tale condizione è già di per sé un’offesa”. È un meccanismo che consente di dare all’infelicità un aspetto definitivo. Di chiudere le porte a qualsiasi cambiamento. E anche nel caso in cui la situazione migliori di per sé, andando a compensare il trauma o la sofferenza che deriva dal passato, aggiunte l’autore, si può “rimediare”. È sufficiente incrociare le braccia e dire “ora è troppo tardi, ora non lo voglio più”, ponendo un freno alla guarigione.C’è poi un altro meccanismo legato al passato che Watzlawick spiega con la storiella dell’uomo che ha perduto una chiave. Un poliziotto lo vede che cerca intorno a un lampione e si mette ad aiutarlo. Ma non trovano nulla. Alla fine gli domanda se sia proprio sicuro di averla persa in quel punto. L’uomo risponde: “Non, non qui, là dietro; solo che là è troppo buio”. Ostinandosi a cercare nel posto sbagliato, solo perché lì è più semplice muoversi, non troverà mai nulla. Arriverà sempre allo stesso risultato.
È lo stesso comportamento messo in atto dal nevrotico: si ripete in modo incessante una certa azione, un certo schema di comportamento, che deriva da un adattamento precedente, senza che ciò porti alla soluzione del problema che si sta affrontando. Anzi, spesso non si fa altro che complicare ulteriormente la situazione. Eppure, invece di provare ad adottare un’altra prospettiva, a modificare il proprio modo di agire, ci si impegna ancora di più in quello che si sta facendo. Si è convinti, infatti, che l’unico motivo per cui non si riesce a superare la difficoltà è il non essersi dati abbastanza da fare.
Profezie che si realizzano da Sé Tra i meccanismi mentali e le suggestioni passate in rassegna in “Istruzioni per rendersi infelici”, Watzlawick cita anche le profezie che si realizzano da sé. E parte proprio da un classico esempio, quello dell’oroscopo. Un mattina ci si sveglia e si legge il proprio oroscopo sul giornale: mette in guardia sulla possibilità che accada un incidente. Durante la giornata, effettivamente succede qualcosa. La logica conclusione allora è che l’oroscopo sia credibile. Almeno in apparenza.In realtà, se non avessimo letto quella previsione o non ci avessimo creduto, non sarebbe accaduto nulla.È sufficiente avere una qualsiasi aspettativa o preoccupazione che viene vissuta non come semplice attesa, ma come una realtà incombente, che si vuole evitare a tutti i costi: un esame che va male, un ritardo, persino un incidente o anche la convinzione che qualcuno parli alle nostre spalle.
L’atteggiamento che assumiamo di fronte a queste situazioni che immaginiamo e che occupano completamente la nostra mente, condiziona lo svolgersi degli eventi. Se, per esempio, riteniamo che gli altri ci prendano in giro, cominceremo a essere sospettosi, diffidenti, magari anche ad aggredire verbalmente qualcuno che pensiamo si stia comportando male alle nostre spalle.E cominceremo a notare bisbigli, sussurri, mezze frasi, cenni del capo. Tutti segnali che rafforzeranno la convinzione iniziale. Tutti comportamenti che, in verità, derivano dal nostro strano modo di relazionarci con le persone che abbiamo intorno.
La profezia si è avverata.