Di Al. Tallarita
Marco Castoldi, in arte Morgan, oltre ad essere un artista sorprendente, preparato, volutamente e moderatamente ‘sregolato’ entro la sfumatura del ‘poeta maledetto’ come corazza ad una sensibilissima natura di artista. È un intellettuale.
Facile guardare al vestito da scena, dell’uomo-da-palcoscenico, dimenticando però l’uomo. Una persona di fine cultura, che ad averne così nei Ministeri. Competente, preparato.
Intellettuali nel Governo italiano, intellettuali in Parlamento, tra gli scranni della Camera e del Senato. E nei Ministeri. Dimenticando il mitico manuale Cencelli.
Eh sì, perché quelli consapevoli, che per gli altri rappresentano l’intellighenzia italica, in particolare fuori patria, si sentono dire troppo spesso ‘sei troppo preparato‘. Così preparato che ci permetteremo di scarabocchiare ‘inadeguato’. Nulla di più oscurantista. Direi osceno.
Anche a me lo hanno detto in viso quell’essere troppo, meravigliosamente tanto. Capace di fare politica e arte di scrivere e leggere, interpretando e guidando la società. Guardando da cittadino e guardato come modello. Ministro e amministrato.
Ma se non gli intellettuali, chi dovrebbe avere il peso cosciente si doversi impegnare per il proprio Paese?
Che chiamarlo tale o Nazione o Patria, poco importa, se poi le menti-figlie, vengono tenute in panchina. E quando poi qualcuno, vuole osare e chiede il cambio, come solo Sgarbi può e deve fare, appena comincia il riscaldamento fuori campo…tutti a lanciare pomodori grossi come grosse parole rosse, infuocate, acide, gelide.
Ed ecco il caffè del mattino di turno gracchiare, che dato il troppo genio Morgan, intellettuale musicista artista, nonché cittadino italiano, Marco Castoldi non è adeguato al suo compito, ossia essere semplicemente se stesso.
Un intellettuale.
Che pensa parla agisce e opera per la collettività in cui è parte integrante. E il narcisista sarebbe lui che si limita solo ad essere se stesso e fare ciò che meglio sa fare, vale a dire produrre cultura!
E lavorare per il suo mantenimento e la sua conservazione. Ma anche per viverla con gli altri italiani. Esempio-icona per i giovani cantautori che si pitturano gli occhi a XFactor cercando di imitarne look e stile.
Un sistema malato dunque. Borghese Piccolo piccolo. Che critica il merito. Che teme il merito. Che mette il merito a guinzaglio come i nostri amati compagni pelosetti, poco inclini alla confusione.
E poi me rimette il termine dalla costituzione al Ministero. Che poi a sua volta gli studentelli di Brera, un posto a caso, intervistati in TV, criticano… perché il merito sarebbe classista..mentre di contro, in articoli su Repubblica, la CISL scuola si pronuncia diversamente, a favore del merito e del talento, proprio come soluzione al classismo.
E Marco Castoldi di talento ne ha molto. Così come di merito. E come tanti altri artisti e intellettuali spesso tenuti in penombra.
Perché il talento spaventa i mediocri. Fa da specchio per le miserie umane ingioiellate ..vestite Ugo Boss……Laddove pur ‘volando’ sulle miserie umane si crolla nel dimenticatoio perche l’uno non vale affato uno!
Politica Marco Castoldi, la fa da molto tempo, da quando ancora venticinquenne disquisiva, allievo a Bologna, con importanti figure, che hanno segnato il tempo della cultura contemporanea italiana, come Umberto Eco e come Stefano Bonaga.
Amanti della dialettica che si edificavano entro conversazioni monografiche, in cui perdersi. Dove scambiarsi visioni del mondo. Dimentichi delle insidie del mondo reale. Scrivendo il ‘Manifesto dei concordi‘. Come lo stesso Morgan, ha condiviso sulla chat ‘Rinascimento Dissoluzione ‘ fortunato esperimento.
E riportando dai suoi scritti: “Bonaga (..) mi vedeva come un potente veicolo di idee razionali (..) non allineate (..) un artista in grado di parlare delle propria idee”. Con il quale ideò il manifesto, di questo movimento.
Ed era già un’idea politica.
In cui si leggeva sull’utilità “della potenza di qualcuno” con la “capacità di favorire la potenza degli altri”, la “sicurezza come bene” che richiede la “tutela “; “l’ignoranza come fonte di tristezza e il sapere come fonte di gioia”.
E il valore della ‘commozione’ che si lega al più aulico concetto della compassione, del cum patior, il comprendere per emozionarsi insieme, anche nella sofferenza.
Continuando a essere ‘concordi’, si legge nel manifesto, a ‘lottare insieme’ con il cuore a fare da giudice che batte al ritmo della ragione.
Esperienza che si concluderà, come Marco scrive, in do minore come la Grande Sonata Patetica Op.13. Del cui pathos siamo intrisi e consci.
Solo chi come noi è testimone di questo vivere, di tale sentire. Di questi incontri, tanti, vari nelle città, musei a cielo aperto quella l’Italia è, può e deve portare avanti il sapere trasmesso e appreso.
Un artista reca in seno cultura. La mangia, la cucina.. la respira, la emana, la espelle.
E così l’esperienza delle cene a casa di Abatantuono, come racconta Morgan, suonando al pianoforte esperimenti musicali, inni di nazioni e canzoni interdette dal revisionismo storico…
Sarà che rivendo molto anche me, nel cammino contrastato, eccelso, duro, idilliaco, in cui dopo essere caduto è così bello rialzarsi. Consapevoli, della grazia che si porta avanti con la propria opera, la propria musica, i propri scritti, le pubblicazioni. I sogni. Mai troppo alti. Mai troppo azzardati. Sempre realmente realizzabili. Nulla è impossibile a una mente che ama.
Contro quel ‘disorientamento’, di cui cita, che indebolisce anche la democrazia, la creatività e l’evolversi della cultura, fatto di cui siamo tutt’oggi consapevoli. Come in un rondò. Un costante ripetersi, ma qui senza mai evolversi.
‘Sacralizzare il corpo del popolo’ significa rendergli il merito che questo ha avuto e ha, nella costruzione stessa della Nazione e che potrà avere nella sua evoluzione.
Fermando la folle corsa, della propagazione del nulla umano. Come profeticamente in quel manifesto predicava.
Marco, tutt’oggi pensa alla politica come arte di dirimere i conflitti, educare alla cultura, che accresce e aiuta l’evoluzione della persona e che promuove l’interesse generale.
E la politica cos’è se non la tékhnē ossia arte, arte di governare e allora chi più di un artista può e deve fare politica?
…A fortiori